L'arte della perfezione di Walt Disney secondo Eisenstein

Mariarosa Mancuso

"Talvolta sono spaventato dalla visione dei suoi film", scriveva il maestro russo dell'animatore americano. Una lezione per cinefili e blogger

Un paio di incontri bizzarri – non sarebbero venuti in mente neanche al più fantasioso sceneggiatore specializzato in strane coppie – segnano la storia di Hollywood. Il primo avvenne nel 1945 tra Alfred Hitchcock e Salvador Dalì: il regista chiese al surrealista di disegnare un sogno per “Io ti salverò”. Doveva durare una ventina di minuti, nel film se ne vedono molti meno. Aveva messo il veto sulla scena onirica il produttore David O. Selznick, che sul set aveva voluto il suo psichiatra come consulente (fu subito rissa). Salvador Dalì incontrò nello stesso anno anche Walt Disney, lavorarono insieme a un film d’animazione che avrebbe dovuto chiamarsi “Destino”. Non si fece mai, resta un cortometraggio di sei minuti messo insieme con gli schizzi preparatori.

 

Quindici anni prima, il papà di Topolino aveva incontrato Sergei Eisenstein, il regista sovietico della “Corazzata Potemkin”. Una foto li ritrae abbracciati – Walt in maglione e scarpe bicolori, Sergei con un tragico doppiopetto rigato su ampi pantaloni – mentre osservano una sagoma del roditore più famoso del mondo. “L’opera del maestro è il più grande contributo americano all’arte”, ripeteva da fan sfegato il teorico del montaggio, ne resta traccia in tutte le interviste rilasciate durante il suo viaggio negli Usa. Il perché e il percome stanno in un volumetto appena uscito da Castelvecchi, firmato da Sergei Mikhailovich Eisenstein e intitolato semplicemente “Disney” (meno semplice è la fioritura di introduzioni, commenti, prefazioni e postfazioni). “Talvolta sono spaventato dalla visione dei suoi film. Spaventato dall’assoluta perfezione di quello che fa” – scrive il maestro dei film da cineclub, riconoscendo i meriti del maestro del cinema popolare. E già, volendo, sarebbe una bella lezione per i cinefili – ora perlopiù blogger – capaci di liquidare un film dicendo: “Troppo perfetto, tutto funziona, non può essere arte”.

 

Il bello deve ancora arrivare: “Quest’uomo sembra conoscere non solo la magia di tutti i mezzi tecnici, ma anche gli strati, le immagini, le idee, i sentimenti più reconditi della mente umana”. Altra bella lezione: a che serve la tecnica se non hai niente di interessante da raccontare? (dopo Cannes, possiamo testimoniare che il genere “pura forma e contenuto zero” si porta ancora molto). Eisenstein paragona Disney alle prediche di Francesco D’Assisi – quando era impensabile che un Papa gesuita si facesse passare per francescano – e ai dipinti del Beato Angelico. Casca, ovviamente, sull’ideologia: “Una meravigliosa ninnananna per i sofferenti e gli sfortunati, gli oppressi e gli sfruttati” (e giù male parole contro il capitalismo). La vendetta arriva molti anni dopo, con il ragionier Fantozzi. Costretto dal cinefilo aziendale a rifare la scena della carrozzina, chiarirà quel che la classe lavoratrice pensa di Eisenstein e della corazzata Potemkin.

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