Riscoprire Françoise Dorléac, la Deneuve dimenticata
La rossa, sorella di Catherine, scomparsa nel giugno di 50 anni fa in un incidente stradale
Volendo ritornare su “La la land” di Damien Chazelle – non abbiamo ancora dimenticato i sopraccigli alzati, i “tutto qui? pensavo chissà cosa” e i giudizi alternati “lei sa ballare, ma lui…”, “lui sa ballare, ma lei…” , tanto più che la prima metà del 2017 è stata disastrosa – vale la pena di andarsi a rivedere “Les Demoiselles de Rochefort”. Diretto da Jacques Demy nel 1967, aveva splendidi colori pastello, splendidi vestiti geometrici, splendidi cappelli a larga tesa, splendidi numeri musicali ballati da due gemelle, una rossa e una bionda. Entrambe cantavano con un fil di voce. La bionda era Catherine Deneuve (il colore dei capelli lo aveva suggerito il compagno Roger Vadim, che prima di fidanzarsi con lei aveva sposato Brigitte Bardot e poi sposerà Jane Fonda). La rossa (anche lei nata bruna) era sua sorella Françoise Dorléac, morta nel giugno di 50 anni fa in un incidente stradale. Aveva 25 anni, stava guidando verso l’aeroporto di Nizza.
Dei due lo pseudonimo è Deneuve. Spiega l’attrice – nelle rarissime occasioni in cui si lascia scappare qualche parola sulla sorella maggiore, tutte negli ultimi cinque anni – che non voleva iniziare la carriera usando lo stesso nome. Mademoiselle Dorléac aveva già girato nel 1964 “L’uomo di Rio” accanto a Jean Paul Belmondo. E soprattutto “La calda amante”, titolo originale “Peau douce”, con François Truffaut. “Aveva un anno e mezzo più di me ma eravamo come gemelle”, ricorda l’attrice, che dopo l’incidente voleva smettere di recitare. Fu sempre Jacques Demy a farle cambiare idea, offrendole la parte dell’ombrellaia in “Le parapluies de Cherbourg”, accanto a Nino Castelnuovo benzinaio in tuta.
“La calda amante” arriva subito dopo “Jules e Jim” e fu accolto al festival di Cannes da sonori fischi. Orrore: dopo tanta trasgressione arrivava un triangolo borghese con il marito studioso di Balzac – nonché curatore di una rivista intitolata “Ratures”, ovvero “cancellature”, gli intellettuali francesi così erano e così sono rimasti – che si innamora della giovanissima hostess. E per incontrarla la porta con sé ai convegni e alle celebrazioni fuori Parigi, mentre la moglie lo attende a casa con la cena pronta. Altra aria si respira in “Cul-de-sac”, che Françoise Dorléac girò nel 1966 diretta da Roman Polanski. Due gangster – uno è ferito dopo una rapina – arrivano con la macchina in un castello in cima a una roccia, collegato alla terraferma da una strada che viene sommersa dalla marea. Lì abita George con la moglie Terèse – appunto la Dorléac, mentre lui è il sinistro Donald Pleasance. Coppia malissimo assortita, che l’arrivo dei due criminali – in attesa di un complice che li venga a prendere – fa scoppiare del tutto. Con questa assurda e spassosissima follia – pure un po’ sul demenziale – Roman Polanski vinse l’Orso d’oro alla Berlinale.
Effetto nostalgia
Né Avetrana né Hollywood: viva Pavia e la serie sugli 883
L'editoriale del direttore