In morte di Jeanne Moreau
Per il critico Tatti Sanguineti il volto dell’attrice era icona di “libertà” per i ragazzi di provincia anni Sessanta
Roma. E’ morta a ottantotto anni Jeanne Moreau, la grande attrice francese che non è possibile immaginare senza sigaretta. Mentre parla di lei, il critico cinematografico e documentarista Tatti Sanguineti se la vede davanti, sullo schermo, nei tanti film per cui oggi è ricordata ma anche nella scena censurata e poi recuperata de “La notte” di Michelangelo Antonioni, scena in cui Moreau e Marcello Mastroianni, vestiti di bianco, si amano nel buio di un parco. Si sente, nella scena, la voce in lontananza del regista. Ma il punto non è la censura e neanche la leggenda che vorrebbe i due compagni di set infatuati per breve tempo anche nella vita, quanto, dice Sanguineti, “la forza simbolica” e iconica di una Jeanne Moreau “che, per la generazione di chi ha oggi settant’anni, e che negli anni Cinquanta e Sessanta, magari dalla provincia, muoveva i primi passi cinefili, era non soltanto l’inarrivabile attrice francese quanto la donna vera. Donna già fatta. Non smarrita, non ragazzina, libera, padrona della sua vita. Una che a tutto avrebbe fatto pensare tranne che a una diva gestita, come spesso oggi capita, da un agente. Moreau era, per noi, la donna che agiva in proprio, una figura che ci pareva nuova sullo schermo”. Moreau, dice Sanguineti, “era diversa dalle dive francesi di allora, e anche dalla nostra Anna Magnani – per temperamento e modi, e per quella specie di compostezza. Ed era anche –moderna per l’epoca – attrice da coproduzioni internazionali. Poi c’è quel suo lato indicibile. François Truffaut, per descriverla, una volta la definì come ‘la donna che non riesci a immaginare con un giornale in mano, ma sempre con un libro’. E io aggiungo: Moreau non è mai flirt, è sempre grande amore. Moreau non puoi pensarla fredda – non nel volto, non nella voce – ma al tempo stesso è come se non fosse mai posseduta da una passione”.
E però, ogni volta che dici Jeanne Moreau, tutti pensano al film “Jules e Jim”, film di passioni devastanti e trattenute, di armonia precaria e sofferenza violentissima (fino al finale tragico). Sanguineti dice che quello che il film restituisce dell’attrice è “un ritratto metonimico – una parte per il tutto”. Quello, per la provincia italiana anni Sessanta (il film è del 1962), era un “film-scandal”, e però, dice Sanguineti, Moreau non è percepita come donna dello scandalo proprio per via della sua misura – nella recitazione, e forse anche nella vita nonostante le vicende sentimentali anche burrascose – e della sua consapevolezza.
Ma Jeanne Moreau è stata anche molto altro: “Unica con Orson Welles, inconfondibile in America ma mai in ruoli da pistolera alla Barbara Stawyck. Moreau è iper metropolitana, come se precorresse in tempi. Ma Moreau è stata anche ‘La sposa in nero’, il film di Truffaut in cui è una donna con un passato che pesa. E non c’è in lei nulla di magico, lontano. E’ una donna normale, assolutamente contemporanea”. E, dice Sanguineti, “la Jeanne Moreau che in tanti film sembra così credibile nel suo essere ironica e intelligente fa pensare a chi la guarda: ‘Questa attrice non ha bisogno di un regista’. E’ come se ci fosse un regista nel suo cervello, come se fosse capace di fare tutto. Eppure non faceva capricci sul set, aveva fama di essere generosa, indipendente, lungimirante nel saper scegliere soltanto i film che le piacevano”.
Moreau, dice Sanguineti, non era “un’intellettuale francese in senso classico (e deteriore) del termine, spocchiosa e con il riflesso anti-americano automatico. Intellettuale, se lo era, Moreau lo era ma in modo più istintivo, quasi animale. Sembra un ossimoro, ma nel suo caso non lo è”. Ed è lungo il confine tra istinto, realtà e finzione cinematografica che si colloca un’altra leggenda: “Si parlava molto di una sua presunta liaison con Miles Davis, già mito della musica e autore della colonna sonora di ‘Ascensore per il patibolo’ di Louis Malle. Ed era una suggestione, forse – la grande attrice anticonformista e il jazzista nero. Si legava all’immagine di una Parigi del jazz, anche se Moreau non potrà mai essere identificata con una città come, per esempio, Anna Magnani può essere associata a Roma”.