Addio Gastone Moschin, l'ultimo degli "Amici miei"
Scompare a 88 anni uno degli attori più talentuosi del cinema italiano del '900. Lanciato da Germi in "Signore e signori", aveva recitato con Coppola nel "Padrino - Parte II"
“Sono io che invecchio, non il cinema”, aveva scherzato, ma non troppo, in una delle sue ultime interviste. All'età di 88 anni, è morto Gastone Moschin, uno degli attori più talentuosi del cinema italiano del Novecento. Da quasi 30 anni viveva a Capitone, piccola frazione del Comune di Narni, nel Ternano. Lì aveva creato, insieme alla ex moglie Marzia Ubaldi (attrice pure lei), una scuola di recitazione, “Mumos”. Ma ovviamente non è per questo che in molti ricordano Moschin. Rimasto nella memoria di molti soprattutto per il ruolo dell'architetto Rambaldo Melandri, in “Amici miei”. Il Melandri, quello che “vedeva la Madonna” nell'ospedale di Pescia in cui la combriccola di “zingari” s'era fatta ricoverare, trasformando poi la camerata in una sorta di osteria.
E di quella brigata, impressasi nell'immaginario collettivo degli italiani per aver sdoganato il ricorso alla “supercazzola”, Moschin era ormai l'unico superstite. Morti Ugo Tognazzi e Duilio Del Prete, scomparsi Philippe Noiret e Adolfo Celi, era proprio lui l'ultima memoria storica di quell'impresa cinematografica pensata da Pietro Germi nel 1974, prima che la malattia, fatale, lo costringesse a cedere il testimone a Mario Monicelli, che diresse i primi due atti (nel terzo la regia fu di Nanni Loy).
Proprio con Germi, del resto, la carriera di Moschin era decollata, nel 1965. Prima di allora, il giovane di San Giovanni Lupotato, in provincia di Verona, aveva lavorato in banca per poi tentare la fortuna nel teatro. Poi la svolta, nei panni del ragioniere Osvaldo Bisigato, modesto impiegato afflitto da un moglie rancorosa che azzarda la fuga con la giovane amante, per poi rassegnarsi all'impossibilità del divorzio e a tornare, sottomesso, sotto le grinfie della consorte. Una figura emblematica di quella provincia, veneta e non solo, bigotta e conformista negli anni del boom economico, così egregiamente raccontata da Germi.
Ma i ruoli di successo di Moschin, in oltre 40 anni di carriera, sono stati tanti. Dal funzionario fascista subdolo e rozzo, Carmine Passante, in “Gli anni ruggenti” (1962) di Luigi Zampa al padre del socialismo italiano, Filippo Turati, nel “Delitto Matteotti” (1973) di Florestano Vancini. E poi ancora collaborazioni con Bernardo Bertolucci e Luigi Comencini, e Pasquale Festa Campanile, Roberto Faenza, Lina Wertmuller.
E il suo talento non è stato apprezzato solo dai registi italiani. Francis Ford Coppola lo volle, ad esempio, nel secondo episodio della saga del “Padrino”, per interpretare il viscido boss Don Fanucci.