In Mostra a Venezia
Un film di animazione che merita il Leone e il mea culpa del direttore Barbera
GATTA CENERENTOLA di Rak, Cappiello, Guarnieri, Sansone (Orizzonti)
Cosa aspettano a metterlo in concorso per il Leone? L’animazione è splendida, la colonna sonora incanta, la trama svolta e avanza come si deve, i dialoghi sono colorati dal dialetto e dalle voci azzeccate degli attori-doppiatori. Napoli ha tanta spazzatura, le favole di Giambattista Basile, ologrammi, fantasmi, una Cenerentola dagli occhi dark nascosta in un relitto (spassose le sorellastre-puttane, e la sorpresa nella scarpetta). Manca la lagna e pure la denuncia. Evviva.
mother! di Darren Aronofsky (concorso)
Titolo minuscolo, crediti in caratteri super-kitsch. Non aggiungiamo nulla, il regista da solo si scava la fossa. Brucia la casa in mezzo al nulla (già gotica di suo). Viene restaurata da Jennifer Lawrence che pare il santino della Madonna. Ripara i lavandini e la caldaia, il marito scrive (a penna, con scratch scratch quando la crisi finisce). Arrivano sinistri forestieri. La bionda – forte il sospetto che sia cretina – rimane incinta. Ma le viene voglia di un appartamentino in città. Le succedono brutte cose, se le merita.
THE COUSIN di Tzahi Grad (Orizzonti)
Pubblicitario israeliano arruola operaio palestinese per ristrutturare lo studio. Comprano il materiale nel magazzino dove una ragazza viene aggredita. Si intrecciano dunque, in una black comedy senza un minuto di noia: il pubblicitario che vorrebbe i lavori finiti al più presto, i vicini che decidono “sarà stato l’arabo”, isterie e dinamiche universali. Se solo avessimo registi e sceneggiatori. I nostri annunciano “tema scottante” – bambini fabbricati per conto terzi, in “Una famiglia” di Sebastiano Riso – e aspettano il dibattito.
THE THIRD MURDER di Kore-eda Hirokazu (concorso)
I giudici giapponesi vengono puniti – puniti, sì – se non chiudono un processo in tempi brevi. Dovrebbe valere anche per i registi: un’ora e mezza basta per qualsiasi trama. Anche per questa (interessante) ruminazione sui delitti, i castighi, le strategie degli avvocati.
Colazione di rito del direttore Barbera e il presidente Baratta con i giornalisti per fare il punto su numeri, presenze, box office e innovazioni in strutture e criteri di selezione fatti nei sei anni del loro mandato. Tutto in aumento, tutto più bello, tutto più razionale. Ok, ci stiamo; regnano ordine, pulizia, bon ton e pochi posti in zona cinema per farsi un aperitivo prima del film serale. A proposito della corsa affannosa per un festival di avere film in apertura che poi vincono agli Oscar (“Gravity”, “Birdman”, “La La Land”), Baratta dice: “Il mio sogno è scegliere film che guadagnano di più di quelli che vincono l’Oscar”.
Auguri. Quest’anno non un solo giornalista ha fatto una domanda puntuta o petulante. Barbera nota che l’accoglienza per i film delle major, prima inesistente, ora c’è: sarebbe l’organizzazione per aiutare gli hollywoodiani, qui a volte per sole 24 ore, a risolvere problemi di viaggio, spostamenti, prenotazioni in una città dove tutto questo è più complicato del solito e dunque a invogliarli. Bene. Ma per i piccoli film magari piuttosto riusciti, succedono anche disguidi di accoglienza che finiscono per fare danni economici ai registi. Ma farlo notare alla dirigenza pareva brutto, per ragioni che so io. Barbera: “Con i film italiani scelti abbiamo fotografato la realtà del cinema italiano”. Poi fa mea culpa per aver parlato di una “nouvelle vague” italiana. “Spesso esagero”, ammette. Altroché. E’ più ficcante quando dice “Non aspettatevi capolavori” dagli italiani. Baratta consola chi si lamenta della “cecità della neve” causata dal marmo pugliese bianchissimo e abbacinante (“stile fascista” motteggia il presidente) che copre l’enorme piazza davanti al Casinò. “E’ ancora un work in progress e i nuovi pini devono crescere”. I migliori film sinora: “La forma dell’acqua”, “Foxtrot”, “The Insult”, “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri” (Venezia 74) “The Cousin” (Orizzonti) “Jim & Andy: The Great Beyond” (Fc). Micaela Ramazzotti (“Una famiglia”, Venezia 74), caschetto anni Venti con virgoletta sulla guancia, dice che il regista Riso è arrivato a farla sentire di essere brava come Meryl Streep. “Poi mi dico, Oddio che vergogna, non devo farlo sapere a nessuno!”. La furbacchiona lo dice in conf. stampa…
Politicamente corretto e panettone