Romantici ragni metallici e buonissime cene indiane a Venezia 74
Il film anticapitalista è anche l'unico diretto da una donna
MEKTOUB MY LOVE: CANTO UNO di Abdellatif Kechiche (concorso)
Girò un film sulla Venere Ottentotta, schiava africana celebre nell’800 per le chiappe che Kim Kardashian oggi esibisce su Instagram. Da qui riparte, nel sud della Francia, tra spiagge, discoteche, pecore che partoriscono in tempo reale, con musica classica per colonna sonora. Tunisini stanziali, ragazze in vacanza, corna, illusioni. Il mektoub – arabo per “destino” – provvederà. Il regista non ne ha nessuna voglia, e neanche taglia le parti noiose.
EYE ON JULIET di Kim Nguyen (Giornate degli autori)
Colpa di Wall-E, il robot spazzino della Pixar. I ragni metallici che sorvegliano la condotta petrolifera nel deserto son subito simpatici. L’impiegato che li manovra da Detroit si annoia, finché scorge sullo schermo una ragazza velata che piange (matrimonio combinato). Romanticissimo, originale e inverosimile, mai che il traduttore incorporato sbagli una frase. Alla damigella in pericolo il cyber-cavaliere su sei zampe promette: tornerò a salvarti.
ANGELS WEAR WHITE di Vivian Qu (concorso)
Cina, spopolata come non l’abbiamo vista mai. Lo stretto necessario per un film a tesi. Le innocenti scolarette portate nella camera d’albergo dal pedofilo. La ragazza senza documenti alla reception. I genitori affranti, gli investigatori, la telecamera di sicurezza manomessa. In zona premio, per i continui riferimenti alle sciagure causate dal capitalismo selvaggio.
VICTORIA & ABDUL di Stephen Frears (fuori concorso)
Inchiodata alla storia del costume per la pruderie – mai nominare le gambe del tavolo e altre amenità del genere, mentre l’epoca pullulava di bordelli, squartatori, oppiacei – la regina Vittoria ebbe un paio di amichetti niente male. Lo scozzese John Brown e l’indiano Abdul Karim. Al primo ha pensato John Madden con “Mrs Brown”, al secondo pensa Stephen Frears. Con meno brio del solito, e una correttezza politica da tagliarsi con il coltello. Si salva la sublime Judy Dench.
All’Excelsior la bassottina è passata a salutare l’amica newyorchese Nancy Buirski, regista e produttrice. E’ qui con il suo quarto documentario “The Rape of Recy Taylor” (Orizzonti) storia di un’afroamericana che nel 1944 fu stuprata da sei bianchi ed ebbe il coraggio di denunciarli e vincere, con l’aiuto di Rosa Parks, storica combattente nera per i diritti civili. Moltissimi applausi in Sala Darsena. Da vedere anche il suo ottimo “By Sidney Lumet”, sul grande regista di “La parola ai giurati” e “Before The Devil Knows You’re Dead” e “The Loving Story”, doc da cui è stato tratto il feature film “Loving” sulla coppia di razza mista arrivata alla Corte Suprema per poter vivere legalmente come marito e moglie in Virginia.
Buonissima cena indiana alla Villa degli Autori, preceduta dal preview di “Buried Seeds”, sulla tortuosa scalata di un ragazzo squattrinato di Amritsar, a una stella Michelin: il simpatico, sexy chef Vikas Khanna. Il regista, il russo-newyorchese Andrei Severny, presentava il film, con in braccio la spiritosa Lara, tre anni e mezzo, a sua volta con due pupattole in braccio, vestiti di turchese come lei. La madre Lourdes Severny è uno schianto: perfetto incrocio tra Penelope Cruz e Keira Knightly. Lourdes è fotografa e “actor”, come usa dire adesso anche per le attrici di qualità negli Stati Uniti. Si usa per cancellare i leziosi finali che riducono la professionalità femminile a una questione di genere, inferiore ça va sans dire. La più detestabile è “poetessa”, ugh.
Oggi passa “Angels Wear White”, l’unico film diretto da una femmina tra i 21 in concorso per il Leone d’oro, 21. Certo che siamo d’accordo con Barbera che le quote sono brutte e cattive: no, puah, che schifo, per carità. Ma invece di darci il contentino infarcendo le giurie di femmine, con Annette Bening addirittura presidente di quella per Venezia 74, wow, ci piacerebbe tanto sapere quante sono le donne del comitato di selezione e che potere hanno al suo interno. Dopocena festa al Pachuco per “Ammore e malavita” dei Manetti Bros. Serata moscia, pare; passando all’una, non si è scesi nemmeno dalla bici per il silenzio che regnava. Meglio quella per il corto di Claudio Santamaria, prodotto da Gabriele Mainetti, dove hanno ballato fino alle 3 anche Anna Ferzetti e Sabrina Impacciatore.
Politicamente corretto e panettone