Alla Festa del cinema di Roma si parte con un western zoppicante e party perfetti
"Hostiles" ha aperto la dodicesima edizione del festival. Bravissimo Bale, Rosamund Pike unica non pol. corr.
Non abbiamo mai avuto una gran passione per il western, genere che sta ai maschi come la commedia romantica sta alle femmine (vuol dire: anche quando il film è mediocre, non risulta mai molesto agli spettatori di riferimento). Poniamo quindi un problema teorico: uno che ama tanto il genere, che lo conosce e lo ha studiato, che rende omaggio alle scene celebri, può poi schierarsi dalla parte dei cacciatori di scalpi e scusarsi con loro per due ore?
Ci si pensa guardando “Hostiles” di Scott Cooper, il film che ha aperto ieri la Festa del Cinema di Roma (l’anno scorso fu “Moonlight” di Barry Jenkins, film “fetta di vita” rispetto al film “fetta di torta” “La la land”). Revisionismo che non si fa mancare nulla, neppure il riferimento – tra commilitoni – al massacro di Wounded Knee, anno 1890.
Succede che il capitano Christian Bale debba scortare fino al Montana un capo Cheyenne e la sua famiglia (era prigioniero da sette anni, il presidente Benjamin Harrison gli ha concesso la libertà perché sta per morire di cancro). Prima rifiuta, poi cede per senso del dovere e amor della pensione; intanto sappiamo che una freccia indiana lo ha quasi ammazzato. Poco lontano, Rosamund Pike si è vista sterminare dagli indiani il marito, due figlie, e il neonato che teneva in braccio.
Disposte le pedine, Scott Cooper si affretta a precisare che gli indiani non sono tutti uguali: i cheyenne sono del tipo new age, i comanche sono feroci psicopatici che violentano le donne. Aggiunge che il capitano non è razzista, infatti ha un nero come braccio destro (morirà comunque per secondo, dopo il francesino della Louisiana). Al gruppo si aggiunge un assassino da processare. Assassino in proprio: scatta subito il dibattito sulla violenza dello stato e la violenza individuale.
Per fortuna c’è Christian Bale, bravissimo anche quando la sceneggiatura zoppica. Rosamund Pike conferma che le femmine nei western non si sa mai di preciso dove sistemarle. Qui sorride agli indiani e lava i piatti con loro.
Mariarosa Mancuso
La festa di Roma N. 12 fa onore al suo nome con party fastosi tutte le sere, fin dai due dell’anteprima; offerti dagli sponsor, le aziende senza le quali i festival sarebbero una exhausting sequela di film e conf stampa senza soluzione di continuità. Gli siamo servilmente riconoscenti. S’inizia con il cocktail per i quarant’anni di attività di Malìparmi, nel negozio di Via del Babuino. La presidente Annalisa Paresi, figlia della fondatrice mani-di-fata Donna Marol, accoglie gli ospiti mentre i camerieri girano con i drink; in dono il primo goody-bag, un foulard di seta con disegni preziosi fatti ad hoc da un maestro vetraio di Burano. Il marchio é molto amato dalla presidente (Un’altra! Fanculo il vittimismo antifemminista.) Piera Detassis, fashionista cool e supercute nel nuovo pixie-cut. Nel viavai di generone/i e vip, c’era la chef e padrona di casa del salotto più ambito di New York e First Lady della Festa Jacquie Monda, bel blazer cinese con collo alla mandarino e bottoni a nodo, assieme al direttore e marito Antonio.
Dopo “La ragazza della nebbia”, esordio al cinema del giallista Donato Carrisi, tutti a Villa Medici per un Bollywood Party, con ragazze in sari che mettevano sulla fronte il cerchio rosso detto bindi, segno anche di fedeltà coniugale. Offerto da JT, azienda di tabacco giapponese, c’era musica forte e tra gli ospiti, Alessio Boni, un protagonista del film di Carrisi. Sciamavano tutti nelle grandi sale storiche, godendosi tanta buona pappa indiana. Goody-bag: foto degli ospiti inseriti in portafoto da tavolo di perspex, trés chic; la grande Laura Delli Colli non se l’è fatto scappare. Dopo la proiezione stampa del feroce western “Hostiles”, conf stampa con il regista Scott Cooper (“Crazy heart”, “Black Mass”). Monda dà il benvenuto, ricordando ai cronisti spesso malmostosi, una frase di G.K. Chesterton: “Gli angeli riescono a volare perché non si prendono sul serio”. Detta direttamente ai giornalisti-suocere, senza passare per le nuore. Sul palco c’erano con Cooper Wes Studi (il capo indiano Aquila gialla) e la nostra passione Rosamund Pike, l’indimenticabile Miriam nel film di “La versione di Barney”. Era l’unica a non unirsi al coro pol corr – al cubo, come il film – dicendo solo che la parte della pioniera che perde marito e tre figli, scalpati dagli indiani, era talmente impegnativa da non poterne disquisire “con eloquenza”.