Dalla Festa del cinema di Roma antidoti al puritanesimo hollywoodiano
Scotty Bowers dimostra che vizi e stravizi fanno invecchiare bene. Intanto Vanessa Redgrave spiega che dobbiamo assolutamente accogliere tutti i profughi perché ne va non della nostra anima, ma del nostro benessere
Vizi e stravizi fanno invecchiare bene. Scotty Bowers compie novant’anni, vediamo la sua torta di compleanno: un fallico pan di spagna con le candeline su cui soffiare. Ha tanti capelli bianchi, una bella faccia sorridente, gli occhi celesti, e non lamenta nessun acciacco. Non male, per l’ex giovanotto che portava Alfred Kinsey alle orge, che faceva felice lo scienziato barrando tutte le caselline del questionario sul comportamento sessuale americano, e che ha fornito maschi e femmine anche a Wallis Simpson e al consorte che per lei rinunciò al trono d’Inghilterra.
“Full Service” è il titolo dell’autobiografia, uscita nel 2012. Il giornalista e documentarista Matt Tyrnauer – suo “Valentino: The Last Emperor”, con l’addetto che spazzola i denti ai carlini accoccolati sulle poltrone in pelle dell’aereo privato – è andato a trovarlo per “Scotty and the Secret History of Hollywood”. Pensatelo come l’antidoto fornito dalla Festa del Cinema di Roma al puritanesimo che ammorba queste settimane.
Scotty Bowers ha vari garage stracolmi di oggetti (sul punto di crollare rovinosamente, come capitò ai fratelli Collyer: vita, morte, giornali vecchi e altra spazzatura sono nel romanzo di E. L. Doctorow). La memoria non ha scordato un nome né un dettaglio. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’ex marine trova lavoro in un distributore di benzina. Walter Pidgeon (attore che a Hollywood andava forte) fa il pieno, gli dice “cosa fa un bel ragazzo come te in un posto come questo?”, lo invita a fare il bagno nudo in piscina, gli allunga venti dollari per il disturbo.
Scatta il passaparola, Scotty mette su una centrale di smistamento. Non ho mai fatto il magnaccia, tiene a dire (i denari andavano al prestatore o alla prestatrice d’opera). Neanche quando forniva decine di ragazzi in un colpo solo: tra più golosi c’era Cole Porter, ma si davano parecchio da fare anche George Cukor, Rock Hudson, Cary Grant. “Ho solo messo in contatto la domanda con l’offerta”, precisa. Con la disinvoltura di chi ha inventato negli anni Quaranta l’Airbnb delle marchette.
Mariarosa Mancuso
Vanessa Redgrave debutta nella regia a ottant’anni con Sea Sorrow, documentario girato per dirci che dobbiamo assolutamente accogliere tutti i profughi perché ne va non della nostra anima, ma del nostro benessere. Perché la sanità pubblica è scadente o non c’è, perché gli anziani sono abbandonati a se stessi, l’istruzione fa schifo, e avanti così per tutta la conf. stampa. Arriva a dire: “Meno male che quella foto del bambino annegato sulla spiaggia di Bodrum ha fatto il giro del mondo perché ci ha dato la sveglia. Lui e la madre sono annegati perché non era stato dato loro un biglietto per il traghetto tra Bodrum e Kos in Grecia”. La accompagna il figlio Carlo Nero che è anche suo produttore. Il film, come la regista, ha il cuore in mano per sollecitare donazioni per la causa dei profughi. (Diciamo che Fuocoammare era meglio). Nessun festival rifiuta un film della star di Blow-Up, di Morgan matto da legare e di dozzine di film classici o di culto girati in sessant’anni di carriera; solo se lei accetta di accompagnarlo di persona, però. A little bird ci diceva che la famiglia le ha tolto la firma sul conto in banca perché dava tutto al partito trotskista; se non è vero, è verosimile. Negli anni Settanta a Los Angeles, sceneggiatori, registi e attori raccontavano di telefonate della Redgrave, che non conoscevano, chiedendo un incontro a pranzo. Lusingati, ci andavano tutti, per poi sgonfiarsi quando ne usciva la ragione: chiedere fondi per i trotskisti. Hasta siempre la revolucíon, ma intanto dammi i soldi. L’incontro con sir Ian McKellen, onusto di premi per le sue interpretazioni di Shakespeare (uno per tutti, il Riccardo III, a teatro e al cinema) s’è dovuto trasferire in una sala più grande per le tante richieste di biglietti. I giovani lo conoscono per il personaggio di Gandalf, nella saga Il signore degli anelli e Lo Hobbit, girata da Peter Jackson. Entra nel Google Cinema Hall gigionando alla grande: fa una corsetta in mezzo al pubblico estasiato, poi snocciola una serie di aneddoti ben rodati sulle sue esperienze di attore; un assaggio: “Quando incontro Bryan Singer per la parte di Magneto in X-Men, lui rimane deluso”. “Pensavo che fossi più attempato!”. Poi mi chiede chi era l’attore anziano in Cold Comfort Farm di John Schlesinger. “Ero io!”, gli dico. “Ah”, fa Singer, “allora puoi fare anche il vecchio?!”. “Certo”, rispondo, “si chiama recitare”.
Effetto nostalgia