La "lucida follia" di Marco Ferreri, maestro dimenticato e scandaloso
Il film di Anselma Dell'Olio nei cinema e su Sky Arte
Sbraita, in una conferenza stampa al Festival di Cannes – l’isteria era al massimo, dopo la proiezione di “La grande bouffe”. Sbraita contro i giornalisti che pretendono il messaggio. Voi dite che sono contro il consumismo? E io dico che “La grande abbuffata” parla di ecologia (era il 1973, per misurare l’anticipo sui tempi). Non riusciamo a staccare gli occhi dalla camicia fantasia marrone e ocra, con bretelle stampate a foglioline. Aggiungete la barba da ritratto fiammingo, un fisico non proprio longilineo, il curioso accento del nordico che si finge romano: “Ammazza che pubblico, ahò”.
Moriamo d’invidia per chi ha conosciuto Marco Ferreri, e ha lavorato con lui. Anselma Dell’Olio era sul set di “Ciao maschio” – aiuto regista per i dialoghi in inglese; in un piccolo ma decisivo ruolo da animatrice di un teatro femminista off spacca una bottiglia sulla testa di Gerard Dépardieu. A vent’anni dalla morte, la notizia arrivò durante il festival di Cannes del 1997, gli dedica l’affettuoso e appassionato documentario “La lucida follia di Marco Ferreri”. Anteprima molto applaudita alla Mostra di Venezia nella sezione Classici, ora in tour nei cinema italiani (mentre la Cineteca di Milano propone una retrospettiva sul regista) e prossimamente su Sky Arte.
“Ciao maschio” è il film con King Kong cadavere sulle rive dell’Hudson. Gérard Depardieu – magro e con la faccia da putto, impiegato al museo delle cere – adotterà lo scimmiottino trovato accanto alla carcassa. Una fissa che Marco Ferreri aveva già sfruttato in “La donna scimmia”: l’imbroglione Ugo Tognazzi scova dalle suore un’orfana piuttosto pelosa – Annie Girardot, attrice spericolata – la conduce all’altare con l’abito bianco, la esibisce come fenomeno da baraccone, fingendo di averla catturata nelle foreste africane (gli zoo umani erano uno spettacolo popolare in Europa fino ai primi decenni del 900, non c’era solo la Venere Ottentotta).
Oltre a scimmie & scimmioni, i corpi nudi con pari opportunità tra maschi e femmine, i dolci con lo stampo del culo di Andréa Ferréol, i parenti serpenti in famiglie dove si mangia mentre il piccino fa la cacca nel vasino sistemato sul tavolo, donne stupratrici e uomini in estinzione, un occhio visionario che portò il generale Custer e la battaglia di Little Big Horn nel buco delle Halles. Catherine Deneuve per sedurre Marcello Mastroianni gli scodinzola attorno nel film “La cagna” (dal racconto “Melampus”, dove Ennio Flaviano stabilisce per sempre “la condizione che ogni cattivo scrittore sogna: su un’isola deserta, con una donna giovanissima e innamorata”).
Ossessioni che danno scandalo anche oggi. Soprattutto oggi, vien da dire, visto e considerato che Marco Ferreri – in un cinema dove ogni occasione è buona per commemorare e rilanciare il titolo di Maestro – non ha avuto finora quel che gli spetta. Al massimo viene criticata la sua apparizione nelle ultime scene di “Le Redoutable”, quando Anne Wiazemsky lascia Jean-Luc Godard per lavorare con Ferreri in “Il seme dell’uomo” (dicevamo le ossessioni). La coppia litiga per le scene di nudo previste dal copione (entrambi girano per casa inutilmente spogliati, Michel Hazanavicius ha un suo spiritaccio). Ritrattino perfettamente in linea con il Marco Ferreri raccontato da Anselma Dell’Olio.
Libero dalla stampella cara ai cattivi registi che si chiama “voce fuori campo”, il documentario alterna interviste – Isabelle Huppert e Serge Toubiana, tra gli altri – a materiali di repertorio e a scene che mettono voglia di rivedere per intero i film. Per un attimo, facciamo pace con Roberto Benigni (di cui non siamo fan). Legge un suo poemetto dedicato a Marco Ferreri e riesce a far la rima tra “Cahiers” (sottinteso “du cinéma”) e “Rabelais”.
Politicamente corretto e panettone