L'ultimo Star Wars dimostra che il cinema è più serio della politica
Puoi renderti ridicolo, comportarti da incapace, non rispettare nessuna delle promesse fatte, e ancora trovare gente che ti vota. Ma nelle sale non funziona così
Come ha osato Rian Johnson trasformare l’ultimo “Star Wars” – “Gli ultimi Jedi”, per chi prende nota dei titoli che incassano e dei libri in classifica onde tenersi lontano da pericolose contaminazioni pop – in un giocattolo meno solenne di quel che i fan aspettavano? Rabbia e furore. A dimostrazione che il cinema è più serio della politica (dove puoi renderti ridicolo, comportarti da incapace, non rispettare nessuna delle promesse fatte, e ancora trovare gente che ti vota).
Discussioni, dibattiti, esposizione al pubblico ludibrio delle scene incriminate. Per esempio, come si permette il Resistente Oscar Isaac, alias Poe Dameron, di fingere una cattiva connessione radio per guadagnare tempo e sferrare l’attacco ai cattivi del Primo Ordine? Evviva, applaudono i non fanatici. Tanto tra un po’ ad ammosciare tutto arriveranno le spade laser e la Forza – non sempre ben schierata: se la possiedi, se ti esalti, se la adoperi male, passi dal Lato Oscuro. E via con le altre solennità: arti marziali, addestramento, meditazione, ricerca dei congiunti (sono una manciata di personaggi, con relazioni complicate da soap opera). Anche se nel film si fanno due battute all’inizio, e qualche altra poi, male non può fare (resta solo il dubbio: ma se cattivi sono così sciocchi che basta una chiamata gracchiante per fregarli, come mai non sono stati sconfitti da un pezzo?). Gli spettatori nostalgici hanno protestato per il passaggio di consegne: morta Carrie Fischer, messo da parte Harrison Ford, ora ci sono ragazze toste, un nero passato dalla parte giusta (“lui sa cos’è la guerra”), una meccanica di origine asiatica, e uno spruzzo di latini. E’ la protesta più divertente: sono cresciuti adorando il bar intergalattico, dove arrivava gente di tutti i tipi, conformazioni, colori e dimensioni. Ma il minimo cambiamento nel cast li sconvolge, costringendoli a cambiare i poster della cameretta.
Non è la prima volta che succede. Verso fine degli anni Novanta, stupefatto dagli insulti che aveva accolto (senza i social a infiammare gli animi) il film della saga intitolato “La minaccia fantasma”, Connor Ratcliff aprì un sito per far girare fake new sui futuri “Guerre Stellari”, annunciando “Star Wars - Trinkies Go Home”. Da persona seria, chiuse bottega quando la notizia finì sui giornali. Da allora porta in giro uno spettacolo intitolato “The George Lucas Talk Show”. Si finge il padre della patria – scusate, il padre della saga, ora di proprietà Disney, e brontola sulle cose che secondo lui non funzionano – “tutto sbagliato, tutto da rifare”. Finge di aver mandato copioni alla Disney, respintissimi. Va in scena con un finto Jar Jar Bing, lo strafattone che una ventina di anni irritò i fan. Anche più dei porg, specie di panda sempre con l’occhio umido che abitano nell’isoletta dove sta l’immusonito Luke Skywalker.
Effetto nostalgia