Un anno vissuto meravigliosamente, con Marco Ferreri e il suo cinema
Al documentario di Anselma Dell’Olio il David di Donatello
Il titolo rubato potrebbe essere “Un anno vissuto pericolosamente in compagnia di Marco Ferreri”. Perché con Marco Ferreri non si poteva vivere che pericolosamente, e lei se lo ricorda bene, soprattutto i mesi in cui ci lavorò a distanza di reciproca (in)sicurezza a New York, sul set di Ciao maschio, premiato a Cannes nel 1978, come aiuto regista per i dialoghi in inglese. “Voleva il tuo coinvolgimento creativo, lo voleva da chiunque. Da chi gli stava accanto in produzione e dagli attori. Ma dovevi capirlo tu che le sue urlate iraconde, i suoi modi apparentemente distruttivi, erano una chiamata in causa. Spesso non spiegava le scene agli attori: entraci dentro tu. Per me fu una formidabile esperienza di consapevolezza e la scoperta di un artista nel senso vero del termine: uno che vedeva prima degli altri e da quel che vedeva creava”. Ma si vive pericolosamente anche oggi, con Ferreri, anche se è morto da vent’anni. Da quasi un anno girare l’Italia o i festival internazionali, cinema d’essai e rassegne, da Ancona Parigi, da Milano a New York per presentare il film è diventato un impegno a tempo pieno (“Quando le mogli hanno più da fare dei mariti, sono dolori”, ha scherzato ieri dal palco, salutando il suo, che molto spesso l’ha accompagnata).
Dopo essere stato premiato a Venezia, il film documentario di Anselma Dell’Olio La lucida follia di Marco Ferreri l’altra sera è stato premiato con il David di Donatello come miglior film documentario, e noi della famiglia allargata siamo felici. Felice pure lei, per un film realizzato in sei mesi, un’impresa per lavori come questo, e che ora è diventato un compagno di viaggio. “Pericolosamente no, ma qualche bella scoperta sì”. Dici Marco Ferreri e chi ha quarant’anni e meno dice “boh”. Ma anche chi ne ha di più, chi ha vissuto l’epoca in cui il cinema, anche il cinema italiano, era una forma del discorso pubblico, estetica e pensiero, insomma arte, tante cose non le ricorda più. Per dirne una, che sembra pura attualità: la scena di Ciao maschio in cui Anselma Dell’Olio fa parte di un circolo femminista e spacca una bottiglia di Coca-Cola in testa a Dépardieu al culmine di un litigio tra i sessi così scorretto che, a rivederlo oggi, sembra profetico. “Solo che io, o il femminismo di allora, invece di rispondere col vittimismo al maschio che diceva ‘lo stupro non esiste’ rispondevo che non avevamo paura”. Bottigliata in testa.
Nell’anno del #MeToo, film come L’ultima donna, con Depardieu alla soluzione finale tra il suo pisello e un coltello elettrico, sembrano più attuali di tanti discorsi da cerimonia. “Le donne dalla generazione di Asia Argento in giù hanno scoperto, attraverso questo scandalo, la politica, il femminismo, che per loro era una cosa che non esisteva più. Ma li stanno usando malamente. Sposano il vittimismo, anziché dire ‘non abbiamo paura’”. E che dire dell’intuizione di Come sono buoni i bianchi, 1987: gli animisti del Sudan non vogliono il nostro cibo e il nostro aiuto, scopre un Michele Placido un po’ basito, vogliono le pile per poter ascoltare alla radio i sermoni dei Fratelli musulmani. Il film è stato “la volontà di riscoprire e rilanciare il cinema di creazione e di pensiero” di questo regista rabdomante, insicuro di tutto ma non delle sue scelte, delle sue inquadrature. “A Napoli, una domenica sera di diluvio e un pubblico bellissimo, una ragazza sui trent’anni mi si è avvicinata: ‘Grazie perché mi ha fatto capire i miei genitori’”. L’anno vissuto con Ferreri non è ancora finito: La lucida follia aprirà il Bari International Film Festival ad aprile, poi a maggio partirà per il Jeonju International Film Festival in Corea del Sud, il festival cinéphile più raffinato dell’Asia”, dove stanno organizzando anche una retrospettiva.