Da “Tototruffa” alla “Casa di carta”, il cinema che ispira il contratto Lega-M5s
Nei film sulle truffe all’italiana gli imbroglioni però finiscono quasi sempre male
E’ un “programma bomba”, il più ambizioso di sempre. Se poi l’accordo dovesse saltare, Salvini e Di Maio possono sempre riciclarselo come script per la terza stagione della “Casa di carta” su Netflix, già annunciata dal regista Jesus Colmenar come “qualcosa di brutale, speciale, molto potente”. Perfetto. Invece di occupare la Zecca spagnola o la Bce, Di Maio e Salvini entrano a Palazzo Chigi acclamati dal popolo e si mettono a stampare banconote per conto loro, come Totò e Peppino nella “Banda degli onesti”, ma con la tuta rossa e la maschera di Dalì. Nome in codice: “Pomigliano” e “Milano”. Scrivono una lettera a Mario Draghi chiedendogli di cancellare duecentocinquanta miliardi di titoli di stato, “se si potrebbe fare questa cancellazione valesse dieci punti percentuali”, mentre il reddito di cittadinanza si finanzia coi soldi comunitari. Applausi. Le pagine finanziare della bozza di governo ricordano i monologhi del “Professore” della “Casa di carta”, l’ideologo, mente e regista della rapina antisistema raccontata nella serie spagnola. La “Casa di carta” non è solo una serie del genere “heist movie”, né una generica critica al “Sistema”, al “Palazzo”, ai “Poteri forti”, ma uno sproloquio sul quantitative easing, la liquidità, le politiche della Bce, un po’ “Matrix” finanziario, un po’ “banda degli onesti” nell’epoca dei populismi. (“Qualcuno ha detto che la Bce è una ladra?” si domanda il “Professore”, “iniezione di liquidità, l’hanno chiamata. E l’hanno tirata fuori dal nulla Raquel, dal nulla”).
Anche il film con Totò e Peppino era ispirato dai fatti di cronaca di quegli anni. La sfilza di banconote appese ad asciugare era l’immagine perfetta di un’Italia contadina proiettata nel boom economico, della frenesia del denaro facile, delle montagne di cambiali. La gag della vendita della Fontana di Trevi al turista americano (Tototruffa ’62) veniva invece dalla vicenda di Victor Lustig, artista della truffa che nel 1925 riuscì a vendere la Torre Eiffel ad alcuni commercianti in ferro per 250 mila franchi (scoperto l’imbroglio, nessuno ebbe il coraggio di denunciarlo per vergogna). Così, se la bozza di programma di governo sembra ispirata alla “Casa di carta”, forse la serie spagnola è a sua volta scaturita “da un’idea di” Paolo Barnard e Claudio Borghi, prodotta da Netflix, in collaborazione con la Casaleggio Associati. Showrunner: Giacinto della Cananea.
Le serie televisive potrebbero essere il nuovo core-business per “Rousseau”. Le sceneggiature circolano in bozza sulla piattaforma, il “final draft” lo votano i cittadini on-line. Amazon, Sky e Netflix sono avvertite. Già nel “Miracolo”, la serie Sky scritta da Ammaniti, c’è un presidente del Consiglio che sembra Roberto Fico alle prese con un referendum per uscire dall’euro mentre la Madonna piange barilate di sangue. Si apre lo spazio per una nuova golden age populista della serialità televisiva. Anche le dichiarazioni di Di Battista (“Siate patrioti, voi rappresentate il popolo italiano non gli emissari del capitalismo finanziario”; “avete il dovere di ascoltare le grida di dolore dei cittadini e non le velate minacce dei congiurati dello spread”; “ascoltate quel che si dice nei bar, non quello che esce da qualche consiglio di amministrazione di una banca d’affari”) ormai escono già a forma di “spiegoni” del “Professore” della “Casa di Carta”.
Raramente però nelle truffe all’italiana entrano in gioco i professionisti. I nostri imbroglioni finiscono quasi sempre male. Le aragoste di “The wolf of Wall Street” lasciano il posto agli avanzi di pasta e ceci trafugata nei “Soliti ignoti”. Nell’immaginario del cinema italiano il “Professore” resta quello interpretato da Mario Carotenuto nel film di Comencini “Lo scopone scientifico”. Un marxista di borgata che arringava i poveri sulla “teoria del plusvalore”, il feticismo delle merci, il capitale variabile, tutto per sviluppare la strategia migliore per battere a carte la vecchia, spietata miliardaria americana, Bette Davis, e portarle via tutti i soldi. La partita a carte era una limpida metafora della lotta di classe. La rapina della “Casa di carta” è l’idea di giustizia sociale e sovranità monetaria delle forze antisistema. Idee, dialoghi e monologhi sembrano usciti dalle pagine più ispirate di “GangBank” di Gianluigi Paragone. Forse è questa la vera finanza creativa.