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Il lavoraccio di Nina Gold

Mariarosa Mancuso

Centosessantasette sono le produzioni nel suo curriculum. Al momento confessa di star lavorando su nove progetti in contemporanea, poi decide di denunciarne sette, poi scende a cinque perché registi e showrunner sono gelosi

Ha passato gli ultimi mesi cercando attori Chernobilly-type. Leggi: che potessero credibilmente sembrare soldati sovietici degli anni 80, per la miniserie “Chernobyl” coprodotta da Hbo (in onda nel 2019). Nei ruoli principali vedremo Jared Harris (figlio di Richard Harris, nonché capitano Francis Crozier alla ricerca del passaggio a nordovest in “The Terror”) e Stellan Skarsgård. Ha una parte anche Emily Watson, e c’è voluta tutta la buona volontà “inclusiva” degli sceneggiatori per fabbricarla: la centrale nucleare esplosa nel 1986 non era un posto adatto alle signore.

 

Negli ultimi 30 anni, Nina Gold di attori ne ha visti 70.000. C’erano anche le attrici, sicuro: è stata lei la casting director che ha scelto Claire Foy come regina Elisabetta in “The Crown” di Peter Morgan, grande successo Netflix. Non era la prima volta che si incontravano, dice Mrs Gold: “Ho visto provini suoi per sette anni. E per sette anni non mi sembrava giusta per il ruolo che dovevo assegnare. Oppure c’erano attrici più giuste di lei”.

 

Duecento ragazzine sono state esaminate prima di trovare Maisie Williams, Arya Stark in “Game of Thrones”. Ed è stata Nina Gold a scegliere Helena Bonham Carter per il ruolo della principessa Margaret – nella terza stagione prevista a fine anno, gli anni passano e bisogna rinnovare il cast – sottraendo l’attrice alle parti da strega o da assassina che tanto piacevano al suo ex consorte Tim Burton. Al momento dell’intervista – un podcast sul sito del Guardian - mancava ancora il principe Filippo. Ora sappiamo che si tratta di Tobias Menzies, visto anche lui nella serie “The Terror”, capitano James Fitzjames.

 

Centosessantasette sono le produzioni nel curriculum di Nina Gold, che ha studiato francese e latino all’università di Cambridge. Ha cominciato a lavorare sul cast di uno spot pubblicitario diretto da Mike Leigh (entrambi un po’ vergognandosi perché non era proprio arte). Al momento confessa di star lavorando su nove progetti in contemporanea, poi decide di denunciarne sette, poi scende a cinque perché registi e showrunner sono gelosi e pensano sempre di essere trascurati. “Sono narcisi e insicuri”, dice. Senza aggiungere nomi o cognomi.

 

Qualche volta pensa che potrebbe anche non faticare, insistendo su questo o quell’attore. Poi pensa che il quieto vivere è nemico delle cose fatte bene, e va fino in fondo. Si deve a lei l’invasione di attori britannici a Hollywood, via “Star Wars” e “Jurassic World”. Tra le carriere fatte partire a razzo, quella di Daisy Ridley che manovra la spada laser in “Gli ultimi Jedi”. Accanto a lei John Boyega, altra scoperta di Nina Gold: lo aveva scovato in un piccolo film dell’orrore intitolato “Attack the Block”. I fan oltranzisti – gente che non vorrebbe vedere nella sua saga preferita né femmine guerriere né pentiti di pelle nera – non hanno gradito, e ancora protestano sui social.

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