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“Enamorada” risorge grazie a Martin Scorsese
La pellicola del 1946 risplende nel suo bianco e nero restaurato e il regista si dà parecchio da fare con la sua Film Foundation per conservare il patrimonio storico
A maggio Martin Scorsese era a Cannes, per ricevere la Carrosse d’or - il premio della Quinzaine des Réalisateurs intitolato a Jean Renoir - e aprire il festival in compagnia di Cate Blanchett, presidente della giuria (grazie, ancora, per non aver ceduto al ricatto di “Lazzaro felice”, capita che la distanza culturale giochi brutti scherzi). Il prossimo ottobre Martin Scorsese sarà alla Festa del Cinema di Roma, omaggiato con il premio alla carriera. Ieri Martin Scorsese era a Bologna per presentare “Toro scatenato”. Pre-apertura (ormai si usa, come i pre-antipasti nei ristoranti che se la tirano) di “Il cinema ritrovato”: festival organizzato dalla Cineteca di Bologna diretta da Gian Luca Farinelli, e dunque attento alla conservazione del patrimonio filmico. L’apertura è oggi, con la presentazione di “Enamorada”, diretto da Emilio “Indio” Fernández nel 1946. Il regista messicano che - sostiene Orson Welles nelle conversazioni racconta da Henry Jaglom in “A pranzo con Orson” (Adelphi), e chi siamo noi per contraddirlo? - posò nudo per la statuetta degli Oscar e prese la pistola per sparare a un critico che lo aveva recensito malamente.
“Enamorada” – una ricca signorina che si prende una cotta per un rivoluzionario - risplende nel suo bianco e nero restaurato, anche Martin Scorsese si dà parecchio da fare con la sua Film Foundation per conservare il patrimonio storico. Viene solo un pensiero maligno: chi sta badando a “The Irishman”, il film da 150 milioni di budget rilevato a metà lavorazione da Netflix (più come medaglia al valore, e ora vediamo quale festival oserà rifiutarlo)? IMDB dà il film con Robert De Niro e Al Pacino in post-produzione, l’uscita è fissata per il 2019, saremmo più contenti di sapere che Martin Scorsese sorveglia la lavorazione da vicino.
Il Marcello Mastroianni restaurato lo lasciamo ai fan (è un problema nostro, che confessiamo ma non riusciamo a superare: perché nessuno sembra accorgersi quanto era più bravo Alberto Sordi?). Ghiotta invece l’occasione di vedere “Wolves of Kultur” di Joseph Golden, quindici episodi girati nel 1918 e restaurati unendo gli sforzi di altrettanti archivi. Una serie, diremmo oggi. Un feuilleton cinematografico, avrebbero detto allora. E comunque nessuno ha inventato niente, dopo i romanzi pubblicati a puntate da Charles Dickens e da Fëdor Dostoevskij (sì, pure lui).
Ai serial di primo novecento Olivier Assayas - regista che viene dalla critica, e ogni tanto la pietanza risulta indigesta - aveva dedicato nel 1996 il suo “Irma Vep”. Omaggio a “Les Vampires”, dieci film diretti nel 1915 da Louis Feuillade. Una serie che i surrealisti adoravano, senza puzza sotto il naso. Irma Vep è appunto l’anagramma di “vampire”, nome d’arte collettivo scelto da una banda di criminali mascherati e in tuta nera.
Politicamente corretto e panettone