Filosofi e film per trascorrere l'estate. Senza passeggiare sull'Oglio
In sala fa gola solo “Tully”. La nostalgia per anni 30 e 40 quando il cinema di Hollywood regalava magnifiche commedie che non sembrano invecchiare mai
Vuole la leggenda che Aristotele insegnasse la filosofia passeggiando sotto il portico. Più probabile che sotto il portico con i suoi allievi stesse seduto. Come che sia, non è che le cose fatte da Aristotele ora le possono far tutti. Passeggiare, per esempio, come nella “Maratona del pensiero” (così la chiamano gli organizzatori) intitolata “Filosofi lungo l’Oglio”. Per i non lombardi-veneti, è il fiume che attraversa le province di Brescia, Bergamo, Verona e Mantova.
Il festival itinerante – 20 tappe dall’5 giugno al 18 luglio – ha avuto già tre volte la medaglia del presidente della Repubblica. E’ stato (filosoficamente) benedetto da Massimo Cacciari, e vanta una sezione intitolata “Filosofiacoibambini” per far loro passare subito la voglia. Se l’Oglio vi sembra poco, possiamo rilanciare con i “Casablanca Seminars”, ovvero “Filosofi a Casablanca per riscoprire il pluralismo del pensiero musulmano”. Esistono, non li abbiamo inventati in un attimo di delirio: organizzati da Reset – “Dialogues on Civilisations”, si terranno dal 9 all’11 luglio.
Urge rispondere colpo su colpo, rimanendo stanziali. Certo, ci fosse qualche film da vedere in sala sarebbe meglio: fa gola solo “Tully” scritto da Diablo Cody e diretto da Jason Reitman, uscito senza anteprima stampa come se lo volessero nascondere. Tranquilli e stanziali a leggere Stanley Cavell, che sempre alla filosofia appartiene: ma era americano e si occupava di cinema (è morto lo scorso 19 giugno, a 92 anni).
Stanley Cavell nasce “Goldstein”, cambiò nome nel 1942 per confondersi tra la folla. Il cinema lo amava, a differenza dei pensatori che si esercitano sul tema “film e filosofia” con una prosa rigida come un muro di cemento. Siccome il cinema lo amava, ci vedeva cose che ora paiono ovvie, e prima di lui non lo erano affatto. La traduzione italiana di “Pursuit of Happiness - The Hollywood Comedy of Remarriage” (Harvard University Press) era uscita da Einaudi, in copertina Clark Gable e Claudette Colbert che fanno l’autostop, nel film “Accadde una notte” di Frank Capra. Un attimo dopo lei guarderà lui con disprezzo e mostrerà una gamba tirando su le gonne: il primo automobilista che passa frena all’istante.
Erano gli anni 30 e 40, il cinema di Hollywood non aveva pretese artistiche e regalava magnifiche commedie che non sembrano invecchiare mai. Con una fissazione. Il “remarriage” appunto. Il doppio matrimonio tra gli stessi coniugi, dopo che si erano separati – per corna o altre divergenze d’opinione. E dopo che avevano conosciuto e disprezzato i nuovi rispettivi partner (o chi tentava la scalata al bene incustodito). Se non c’era Claudette Colbert, c’era Katherine Hepburn. Se non c’era Clark Gable, c’era il molto più fascinoso Cary Grant. Con filosofi e film come questi possiamo trascorrere l’estate, senza passeggiare sull’Oglio o essere tentati dai seminari a Casablanca.
Politicamente corretto e panettone