Quelli che non ve lo meritate Vanzina, era un genio e non l'avete capito
Differenza tra giudizio sui film (brutti) e una sostituzione etnica
Carlo Vanzina, figlio di Steno, ha girato con il fratello Enrico molti film brutti e premiati dal botteghino. Le due cose non sono mai in opposizione. Brutti, sintetizzando un po’ all’ingrosso, perché una commedia – non per forza sophisticated, ma anche all’italiana – ha bisogno di scrittura, sceneggiatura, battute a doppio taglio, meglio triplo. La regia è il meno.
Occorre uno spoiler, come dicono gli up to date consapevoli del proprio cosmopolitismo e – in forza di ciò? – anche di avere metabolizzato meglio di altri il vanzinismo: non si parlerà del cinema di Carlo Vanzina, si parlerà di politica. O per meglio dire di un tic culturale che ha ricaschi evidenti sulla politica. (Altro spoiler: l’argomento sono quelli che vi dicono, in bella calligrafia: non avete capito Vanzina, e vi siete beccati il populismo).
Dunque, Carlo Vanzina. Borghese gentiluomo, eccetera. Conoscitore del mondo, eccetera. Il mondo suo, e quello del trasandato generone che lui tra i primi, questo sì, ha intuito fosse ormai trasmigrato in tutta l’Italia, in tutta la provinciona italiana. Ma c’è un sovrappiù di interpretazione, in molti commenti che si sono letti. Per i quali Carlo Vanzina era semplicemente un genio del cinema, vittima di critici sciagurati e di intellettuali di retroguardia che non lo hanno mai capito. Socioligismi un po’ sopra le righe, tipo: “Se il cinema rappresenta, come dice Edgar Morin, ‘lo spirito del tempo’, nel panorama italiano non esiste regista che quello spirito lo abbia rappresentato meglio di…”. Qua e là qualche attenuazione, giusto per mettersi al riparo da facili contestazioni, tipo “non era regista sofisticato” – ma ben inteso che non essere regista sofisticato, anzi uno che girava in fretta e a basso costo (anche Carpenter o Fassbinder giravano in fretta e a basso costo, che diamine) è un titolo di merito. Insomma, ha scritto qualcuno, “chi odia i Vanzina, in una parola, non li conosce”.
Non è questione di odio, ovviamente, e ci mancherebbe. La questione è una certa presunzione, forse inconscia, per cui il mondo si divide in tre: ci sono i personaggi di Vanzina (che schifo) e quelli che non capiscono Vanzina perché, in fondo in fondo, sono come loro. E poi ci siamo noi, quelli che abbiamo capito che Vanzina ha interpretato l’Italia nuova. E che quindi quella Italia prima o poi saremo chiamati a guidare. Dalle redazioni dei giornali, dalle case editrici. Dal Parlamento, i più audaci. Invece non hanno capito che Vanzina quell’Italia non la rappresentava, à la Morin, ma ne era parte. Parla con lo stesso linguaggio. Se “rispecchia” l’Italia, è nel senso di come la rispecchia Striscia la notizia: siete pronti a tenervi l’Italia di Striscia la notizia, la culla del non-pensiero populista, credendo però di essere avanti con i tempi, di dominare la materia, invece che esserne dominati?
I rivalutatori eccessivi di Carlo Vanzina sono molto peggio dei suoi film, e lui ne è innocente. La rivalutazione dei Franchi & Ingrassia, la rivalutazione di Totò, sono state una cosa che è stata utile, ma molto tempo fa. Serviva a un certo ceto culturale (de sinistra, ovvio) per liberarsi delle ingombranti macerie di padri che incombevano davvero (padri come Pasolini, per dirne uno). Oggi, dire che Vanzina ha capito la trasformazione antropologica italiana molto meglio di… di… Già, di chi? Serve a liberarsi di chi, o di cosa? A proporre quale altro modello di interpretazione sociale? Nessuno. E’ soltanto il birignao di un nuovo ceto intellettuale affluente – più quarantenne che millennial – che vive in un’altra dimensione estetica, che di Vanzina si sente diverso nell’intimo ma lo usa per dire: eh, questa è la vera Italia, voi non l’avete manco capito, ma aspettate che arriviamo noi. Non è una rivalutazione, è una specie di sostituzione etnica. Solo che dai Parioli al massimo si passa alla Leopolda. Solo che, intanto, i barbari di Vanzina si sono già presi tutto.