Ecco il genere di film che vorremmo vedere ai festival

Il sito “Rottentomatoes” non sarà perfetto ma suggerisce “Sorry to Bother You” di Boots Riley ed “Eighth Grade” di Bo Burnham. Entrambi – che meraviglia – scelgono storie di oggi

Mariarosa Mancuso

Mentre qui si sbadiglia, e per qualcosa di guardabile bisogna cercare tra i film che qualche anima santa ripropone in sala, sull’aggregatore di recensioni “Rottentomatoes” spuntano due titoli con il massimo punteggio. Il 96 per cento dei critici censiti raccomanda “Sorry to Bother You” diretto da Boots Riley. Il 98 per cento raccomanda “Eighth Grade”, opera prima di Bo Burnham. Entrambi appena usciti negli Usa, dove gli spettatori godono l’alta stagione, e oltre ai blockbuster qualche film più ghiotto dei supereroi.

    
Il sito “Rottentomatoes” – dai pomodori marci che idealmente si scagliano contro lo schermo che proietta schifezze – ha avuto le sue polemiche. L’ultima in occasione di “Gotti”, film di Kevin Connolly con John Travolta nelle parti del boss mafioso. Uscito il 15 giugno scorso, ha sul sito un secco 0 per cento: su 39 critici nessuno ha avuto una parola buona, si va da “il peggior film di mafia” alla “parodia di un film biografico”. Da qui la furia di Travolta e dei produttori, che hanno sfoderato dietrologie anti-casta: “Non vogliono farvelo vedere” (a spazzar via gli equivoci: i critici erano contro, ma neanche il pubblico ha fatto la fila per entrare).

   


 

“Rottentomatoes” non sarà perfetto, ma qualche indicazione la fornisce. Facendo scoprire, in questo caso, due film contemporanei. Il genere di film che vorremmo vedere ai festival, se i festival non fossero occupati a stanare incomunicabilità di varia provenienza: “Una donna muta nelle montagne turche” era il gioiello consigliato dal direttore Carlo Chatrian – uscente in direzione Berlinale – alla presentazione del prossimo Festival di Locarno (in programma anche l’argentino “La flor” di Mariano Llìnas, durata 14 ore). Contemporanei perché girati da registi che vivono nel mondo là fuori, non dalla terra dimenticata dal tempo che genera registi incuranti del pubblico.

  

Bo Burhman ha 28 anni, milioni di spettatori sul suo canale YouTube, uno spettacolo su Netflix, un libro di bizzarre poesie intitolato “Egghead” (spregiativo per “intellettuale”). Nato nel 1971, Boots Riley viene dall’hip-hop. Entrambi scrivono e dirigono, doppio salto mortale che non a tutti riesce, ma se riesce garantisce applausi (e un’originalità che non significa “famolo strano”, bensì aver qualcosa da dire e saperlo dire bene). Entrambi – che meraviglia – scelgono storie di oggi.

   

“Eighth Grade” racconta un’adolescente che passa le giornate sui social, convinta che la vita di chiunque sia migliore della sua. “Sorry to Bother You” racconta un giovanotto che fa marketing telefonico: “Scusi se la distrurbo”. Con le parole del regista, quando cercava di vendere l’idea (lo racconta in un articolo sul magazine del New York Times, “Come ho conquistato Hollywood”): “Una commedia nera e demenziale, tra realismo magico e fantascienza”. Che invidia. I nostri aspiranti registi proporrebbero: “Una denuncia del lavoro precario”.

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