(Foto Pixabay)

Il tributo dell'Oscar al "film popolare"

Mariarosa Mancuso

Una nuova categoria di premi politicamente corretta e che nessuno vorrà, nemmeno le attrici in felpa

I signori degli Oscar non leggeranno, né hanno letto, “Masscult e midcult” di Dwight MacDonald (lo ha ristampato Piano B, ma siccome non buttiamo mai via niente abbiamo ancora la vecchia edizione). Non lo faranno neanche sotto tortura, ma a noi serve per misurare le conseguenze della novità – diciamo avventata – introdotta ieri. Meno diplomatico, Vulture scrive “dump decision”: idiozia. Da quest’anno avremo una categoria nuova, “outstanding achievement in popular film”. Come dire: un premio da assegnarsi al miglior film popolare.

 

Che vorrà mai dire quel “popolare”? Che ha sbancato i botteghini? Che il film non l’hanno visto solo i quattro gatti che frequentano i cinema d’essai? Che i critici hanno stroncato il film, e invece gli spettatori l’hanno goduto mangiando vasche di popcorn? (vecchia maniera e pure Ogm, non il popcorn “biologico” che offriva un cinemino a New York). Che sta un gradino sotto il vincitore dell’Oscar per il miglior film “non popolare”? Che finora le statuette sono state date solo a prodotti dell’ingegno snobbati dal pubblico? (smentiamo con i primi due titoli che vengono in mente, il magnifico “Titanic” e il per noi più molesto “Signore degli anelli”). Che l’Academy porge le sue scuse per certi premi tra il mediocre e l’imbarazzante, e promette di prestare attenzione a film come “Black Panther” di Ryan Coogler?

 

Dwight MacDonald serve perché gli dobbiamo la categoria del “midcult”, esteso territorio posizionato tra la cultura di massa e la cultura alta. Si era nel 1960, la distinzione ancora esisteva. Non come adesso, quando la prosa dannunziana di Franca Leosini mette sotto torchio gli interrogati sprovvisti di licenza media, e fa godere gli intellettuali, commossi dall’intreccio tra lessico anticato e particolari macabri da squadra anticrimine. La cultura popolare era roba che allora nessuna persona rispettabile voleva sfiorare, figuriamoci prenderla sul serio. Per il solo fatto di tenersene alla larga (con una smorfia di schifo) chiunque poteva sentirsi dalla parte giusta del liceo classico.

 

Il “midcult” cancellò l’illusione. S’intende, per chi aveva voglia di capire il messaggio; gli altri continuarono a snobbare il masscult non immaginandone i tesori, spesso gustosi e a volte geniali, convinti di volare sempre ad altezze culturali stratosferiche. Da noi il concetto arrivò nel 1978, con lo sberleffo alle “vacanze intelligenti”: l’episodio diretto da Alberto Sordi nel film collettivo “Dove vai in vacanza?”. “Midcult” è fotografare le copertine dei libri che “piacciono alla gente che piace”, sullo sfondo il tappetino zebrato. E invece rifiutare con sdegno i film di Checco Zalone: in base al nostro campione, ancora tanti mancano all’appello, tra le persone che frequentiamo (a meno che non dicano bugie: i film di James Bond si guardavano di nascosto per non far brutta figura in società). “Midcult” è prendere ancora sul serio il Premio Strega, dopo che “I mostri” di Dino Risi, oltre mezzo secolo fa, ne raccontava con precisione i giurati e quel che succede dietro le quinte (manca per arrivare all’oggi uno sberleffo all’elenco dei votanti, ma non poteva sapere).

 

Se gli Oscar hanno questa idea di “film popolare” – “una schifezza che fa tanti soldi”, quel che solitamente si pensa dei bestseller – c’è da chiedersi chi finirà in quella categoria senza sentirsi offeso a morte. Anche i registi di blockbuster in cuor loro smaniano per avere oltre alle palline del pubblico anche le stellette della critica. La frase rivolta dispettosamente allo stroncatore – “piangerò tutto il tempo nel tragitto da casa verso la banca” – rivela grande saggezza, ma sono pochi a praticarla.

 

Sarà anche ridotta la lunghezza della cerimonia degli Oscar, non più di tre ore. Riassumendo in un veloce montaggio i premi minori, assegnati mentre vanno in onda gli spot pubblicitari. Immaginiamo la prossima mossa: togliere il comico che fa da maestro di cerimonie, per prudenza verso i permalosi. Una voce registrata che scandisce “the winner is”, tutte le attrici in ciabatte, struccate e con addosso la felpa grigia.