Lo streaming a Venezia ha già vinto
Il gran debutto di Netflix con “Roma” di Alfonso Cuarón e “22 July” di Paul Greengrass. Bene anche i soliti ecologismi super chic
Comunque vadano i Leoni e le coppe Volpi, ha già vinto Netflix. Dopo il gran rifiuto a Cannes – niente concorso per i titoli che non escono in sala – la Mostra di Venezia ha accolto volentieri “Roma” di Alfonso Cuarón e “22 July” di Paul Greengrass (entrambi in gara). Vederli ha scacciato il pensiero maligno: “Netflix ha miliardi da spendere e una reputazione cinematografica da costruire, può essere che chiuda un occhio accettando sceneggiature non proprio a puntino, o invecchiate nei cassetti”. “Roma” ha superato più che brillantemente l’esame. Lo supera anche Paul Greengrass: con la bravura dimostrata in “United 93” – tutto a bordo dell’aereo che i passeggeri fecero precipitare, salvando il Pentagono dopo il crollo delle Torri – affronta l’attentato di Oslo e la strage sull’isola di Utoya. 77 vittime, ammazzate dal terrorista che si considerava in guerra contro multiculturalismo e aveva nella lista dei nemici “marxisti, i liberali, le élite”. Splendida regia che mette in scena e sparisce, senza giochetti autoreferenziali. Julian Schnabel nel suo Van Gogh va di inquadrature sghembe anche prima della follia, Greengrass non fa sentire mai la macchina da presa. Netflix ha vinto anche perché i due film hanno già una data per lo streaming, e pure a breve (capita che certi film di Cannes escano alla vigilia del Cannes successivo). “22 July” si potrà vedere dal prossimo 10 ottobre, “Roma” dal 14 dicembre. A novembre, per evitare la crisi d’astinenza, provvedono i fratelli Coen con il western a episodi “La ballata di Buster Scruggs”. Riuscito a metà, ma almeno avete evitato la fatica del parcheggio. Al cinema andrà visto “The Sisters Brothers”, la spassosa Frontiera di Jacques Audiard. Se e quando uscirà.
Nessuno dovrebbe vedere “Nuestro Tiempo” del messicano Carlos Reygadas, qui anche attore assieme alla consorte. Allevano tori in un ranch e lei gli mette le corna con un inglese. Tre ore di narcisismo, grandi spazi, recriminazioni, sbronze. Il genere di film applaudito da chi detesta il cinema.
Mariarosa Mancuso
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Al padiglione della regione Veneto all’Excelsior incontro per l’esaustivo “Tutto Avati” di Michele Bergantin e Gordiano Lupi sul grande Pupi, “metafisico e terragno”, come scrive nella prefazione il bravo critico e moderatore Fabio Canessa. Dal set di “Il signor diavolo”, nuovo film del maestro bolognese, c’erano il montatore Ivan Zuccon e gli attori Davide Celli (figlio di Giorgio) e Lino Capolicchio, che giura: “E’ il più terrificante horror di Pupi”. Poiché il prolifico Pupi è autore (più di una quarantina di film) del cult-movie de’ paura “La casa dalle finestre che ridono”, le zampe della bassottina fifona fanno già giacomo giacomo. (Non dimentichiamo che anni fa fu scippato un Leone d’oro strameritato al suo indimenticabile “La seconda notte di nozze”. Ah, the fickle finger of fate). Una novità dei festival sono i sottotitoli in inglese anche per i film anglofoni: un aiutino per i non madrelingua niente male. L’ecologia degli oceani è talmente in cima ai pensieri di tanti filmmaker che c’erano due opere sul tema quest’anno – uno annunciato e l’altro già fatto – nella stessa giornata. “One Ocean Film Unit” è un celebrity project al primo ciak, completo di “blue carpet” per il codazzo di vip, finanziato dalla fondazione della Principessa Zahra Aga Khan, con Paul Cayard al timone del veliero-set Adria. Più piccolo, delicato e blasonato il corto della installation artist Anne de Carbuccia, che ha presentato il suo primo film “One Planet One Future” alla Villa degli Autori. (Achtung, segue name-dropping!). Presente per darle manforte c’era la bellissima amica con gli occhi color laguna Bianca Arrivabene – così si presenta ma le spetta anche “di Savoia Aosta”, princess madre di cinque (5) figli e sposa del conte Gilberto Arrivabene Valenti Gonzaga, tutti belli da schiantare e padroni di Palazzo Papadopoli, ora con un hotel ai piani bassi (room service, anyone?). Le immagini-simbolo di De Carbuccia (il film vanta la colonna sonora di Ludovico Einaudi, amico suo come la scrittrice Emmanuelle de Villepin) sono Time Shrine (“L’altare è l’art project più antico”), il teschio e la clessidra, ché il tempo vola, meglio dare una mano per tempo a eliminare la sozzura che infesta i mari del pianeta, s’infervora l’artista; ci sono isole grandi tre volte la Francia di microplastica nell’oceano, che finiscono nella pancia dei poissons da noi pappati (burp!).
Politicamente corretto e panettone