A Venezia75 c'è anche chi urla insulti sessisti
Un giovanotto che si presume alfabetizzato nonché esposto alla cultura senza ristrettezze ha gridato “puttana” alla regista Jennifer Kent
Schizofrenia. I fan di Mario Martone e “Capri-Revolution” insistono sul messaggio, che è il seguente. La pastorella analfabeta incontra gli artisti che a Capri ballano nudi nei boschi e diventa una persona migliore: vegetariana, pacifista, anglofona nel volgere di una stagione, dedita alla medicina alternativa, coreografa che pretende i ballerini a contatto con la terra (via la pedana di legno, primo passo verso l’imborghesimento). Accadeva nel 1914, vigilia della Grande Guerra.
Oggi, un giovanotto che si presume alfabetizzato nonché esposto alla cultura senza ristrettezze – scrive di cinema e frequenta i festival con l’accredito – urla “puttana” alla regista Jennifer Kent. Qualcosa non torna, nella tesi di Mario Martone: l’arte non rende migliori (quello semmai è il catechismo). Tanto più che il giovanotto – alfabetizzato e scrivente di cinema, ripetiamo – invece di vergognarsi annuncia: “Sono stato io”. Non lo pensava, naturalmente, l’urlo è partito a cervello scollegato (così scrive sgrammaticando). Intanto si gode il quarto d’ora di celebrità. Povero Andy Warhol, perché non torni e spieghi che stavi scherzando? Questo si fa pure fotografare con l’accredito al collo (e se interrogato si dichiarerà femminista, dispiaciuto per le poche registe da insultare che il concorso offriva).
“Non esistono più le figure di merda”, scriveva Niccolò Ammaniti in “Che la festa cominci” (se la memoria non inganna). Vale per lo sputtanatore: “The Nightingale” non era niente di che, ma mai abbiamo sentito gridare “cornuto” all’indirizzo di un regista incapace. Speriamo non valga per la giuria capitanata da Guillermo Del Toro. Ha a disposizione tanti film da premiare, dovrebbe resistere alla tentazione di sprecare coppe Volpi e Leoni per titoli da sbadiglio. Per esempio, “Nuestro Tiempo” di Carlos Reygadas, esercizio di narcisismo con tori – sul tema coppia aperta. Nessuno lo andrà a vedere se non afflitto da insonnia finora inguaribile.
“Roma” di Alfonso Cuarón è assieme a “The Favourite” di Yorgos Lanthimos il film più bello. Ma il primo è targato Netflix – se vince si attendono proteste. Guillermo Del Toro è messicano come Cuarón, son quasi coetanei, sono amici e lavorano insieme – se vince, altre proteste. Ma sappiate che succede spesso: Quentin Tarantino a Cannes fece vincere “Fahrenheit 9/11” di Michael Moore, in comune avevano Harvey Weinstein come produttore. A Venezia diede il Leone d’oro all’ex fidanzata Sofia Coppola. Stavolta sarebbe per una giustissima causa.
“The Favourite” ha un trio di attrici da Coppa Volpi, preparatene una ciascuna per Rachel Weisz, Emma Stone, Olivia Colman. Quattro ne servirebbero per i cowboy di “The Sisters Brothers” diretto da Jaques Audiard. Il pensoso Olivier Assayas con “Doubles Vies” scopre la comicità: servirebbe un premio di incoraggiamento. O di ravvedimento.
Politicamente corretto e panettone