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“Sulla mia pelle” è riuscito benissimo (a parte le lezioncine di Borghi)

Mariarosa Mancuso

Il film dimostra che il mix produzione indipendente/distribuzione Netflix è per esperienza il meglio riuscito

Avevamo la versione populista: “Il vincitore della Mostra di Venezia appartiene a tutti, non solo all’élite degli abbonati Netflix”. Ora abbiamo la versione cineforum: “Grazie per essere venuti qui, anche se il film è su Netflix”, ha detto Alessandro Borghi al cinema Ambrosio di Torino, dopo la proiezione di “Sulla mia pelle” (il film di Alessio Cremonini ha aperto al Lido la sezione Orizzonti, senza riuscire a spuntare neanche un premio). E via con la lezioncina: “Il cinema è un momento di scambio e di riflessione collettiva. E’ un’esperienza totalizzante, consente di percepire e condividere le emozioni, i respiri e i pensieri di chi ti sta seduto accanto”.

 

Facile da dire quando i 500 posti di uno storico cinema torinese (fondato nel 1913 e intitolato al pioniere del muto Arturo Ambrosio, dai baffoni a manubrio) sono tutti occupati da spettatori complici e desiderosi di vedere il film sugli ultimi giorni di Stefano Cucchi – fu arrestato per detenzione di stupefacenti e morì all’Ospedale Pertini di Roma, area detenuti, mentre i genitori combattevano contro la burocrazia per fargli visita. Più difficile da dire – penoso da dire, per la verità – quando capitiamo in un cinema di provincia, con la cassiera che stacca i biglietti, l’uomo che vende le caramelle e sette persone in sala a vedere un film di supereroi. Riscaldamento e pulizie vanno contati a parte.

 

All’Ambrosio c’era anche Alberto Barbera, il direttore della discordia che tratta i film prodotti da Netflix al pari degli altri. A dispetto dei profeti di sventura – e al netto degli spettatori di 190 paesi che se vorranno potranno anche loro rabbrividire entrando nelle carceri e negli ospedali italiani – l’uscita in sala di “Sulla mia pelle” non è stata affatto disastrosa. 43 mila euro incassati il primo giovedì di programmazione, quasi settemila spettatori, 800 euro di media per copia (erano 62, da 150 annunciate prima delle proteste, e saliranno a 95). I produttori – indipendenti, ci tengono – del film avevano chiesto a Netflix una finestra di due settimane tra il passaggio in sala e il film a disposizione degli abbonati. Non l’hanno ottenuta, quindi non abbiamo la controprova. Ma probabilmente gli incassi non sarebbero cambiati granché. Va anche aggiunto che il mix produzione indipendente/distribuzione Netflix è per esperienza il meglio riuscito.

 

Parlando di cinema, “Sulla mia pelle” è riuscito benissimo nelle parti a rischio, le più difficili – il pestaggio, i lividi, il carcere, il processo, il ricovero in ospedale, sono di un realismo impressionante, finora ignoto al cinema italiano. Grazie anche a Alessandro Borghi – quasi indistinguibile dal vero Stefano Cucchi, nei titoli di coda. Le scene in famiglia e con la sorella Ilaria (Jasmine Trinca) patiscono una sceneggiatura e una regia meno attente e accurate.