Il film su Cucchi, il rito civile e la Trattativa centri sociali-Netflix
Dal “film necessario” alla “proiezione necessaria”
“Ma il film su Cucchi dove l’hai visto? Al cinema co’ Alessandro Borghi? A casa su Netlfix? Sdraiato sul pratone della Sapienza o a Milano, piazza Oberdan, coi collettivi?” Gran fibrillazione su e giù per la penisola. Come si potrà partecipare al meglio a questo “rito civile”? Sarà più urgente schierarsi con le proiezioni pirata senza sé e senza ma o sostenere il film al cinema? E su Netflix varrà lo stesso? Non si capisce. “Farlo vedere ovunque sia possibile, in ogni modo, il copyright se ne farà una ragione”, scrive qualcuno recuperando in salsa clandestina il mantra: “è un film che andrebbe proiettato nelle scuole”.
Si apre un nuovo filone. Dal film “necessario” alla “proiezione necessaria”: “Circoli di partito e laboratori politici, collettivi studenteschi, associazioni culturali, una visione collettiva pensata come gesto di militanza civile”, spiega “Repubblica”. Le ragioni della sinistra e del cinema d’impegno ritrovano uno spazio comune, una piattaforma, una piazza, un pratone, tanta voglia di stare insieme. Altro che casa Calenda. Possono forse le polemiche sul copyright o sulla doppia uscita spezzare una tale forza d’urto? Certo che no. “In un paese che definanzia la cultura il problema non può essere questo” (sempre “Rep”, ricordarglielo ogni volta che si indignano per la frase “con la cultura non si mangia”). Il gioco è fatto. Netflix è riuscita a fare con il film su Cucchi quel che non gli era riuscito con “Suburra”.
Ha finalmente agganciato il proprio brand al nostro immaginario e a l’unico linguaggio promozionale che qui funziona davvero. La marea di proiezioni clandestine (tutte ampiamente tollerate e promosse) non sono un imprevisto, ma la vera essenza di questa operazione: creare un effetto di “comunità antagonista”, dal basso, una partecipazione civile tanto più “pura” perché fuori dal copyright, dal profitto, dal mercato. Un happening dell’indignazione che funziona come un concerto o una manifestazione e conferma l’idea che da noi il cinema è anzitutto una “missione” (mica un lavoro).
Vedere “Sulla mia pelle”, specie in proiezione pirata, è come “scendere in piazza”. Netflix fa suo il modello “Cinema America”: clandestinità, cultura antagonista e (poi) patrocinio delle Istituzioni. Il film piace. Sta andando bene nelle sale. L’ingorda industria del cinema italiano che, si sa, fattura miliardi, per una volta può farsi da parte e lasciarlo vedere a tutti. Presto fatto: Andrea Occhipinti (presidente distributori Anica) si dimette tra le polemiche ma ammonisce: “Sulla mia pelle non segna l’inizio di una nuova modalità distributiva: La centralità della sala cinematografica non è mai stata messa in discussione”. Mai? Veramente è successo quel che sapevamo già: la sala funziona quando scatta la logica dell’evento e del rito collettivo (come una volta succedeva con i cinepanettoni e oggi con Zalone a Natale).
Il caso Cucchi (inteso come film) non può fare “sistema” – e questo lo dice anche Occhipinti – e casomai va messo accanto a “Modena Park”, il concerto di Vasco trasmesso su RaiUno, poi uscito in sala per tre giorni con incassi da blockbuster (l’effetto concerto qui è garantito dal tour promozionale degli attori e della sorella di Cucchi che accompagnano il film in sala). Sarebbe interessante capire non solo quanti spettatori sono andati al cinema nonostante Netflix, ma quanti saranno i nuovi abbonati Netflix dopo un’operazione che sta cambiando la percezione della piattaforma nel nostro paese. “Suburra” era un prodotto all’americana.
“Sulla mia pelle” affonda invece nella tradizione italiana del film necessario, della battaglia civile e soprattutto del “non mi interessano gli incassi”. I centri sociali sono stati i migliori influencer che Netflix potesse avere. Da qualche giorno a Roma, nei pressi della Stazione Termini, c’è una pubblicità gigante del film che copre l’intera facciata di un palazzo. In alto l’immagine di Borghi-Cucchi, sotto l’invito a provare Netflix gratis per un mese con l’opzione “disdici quando vuoi”. Anche quando ti sarà passata l’indignazione.
Politicamente corretto e panettone