Garrone e Sorrentino (elaborazione grafica Il Foglio)

Garrone e Sorrentino, registi paralleli

Marianna Rizzini

Il film nel film della presunta o reale rivalità cinematografica, geopolitica, esistenziale e immobiliare

Ora che “Dogman” è il candidato italiano all’Oscar, il pensiero corre a chi l’Oscar l’ha già vinto, ma non ha vinto a Cannes

Non è tragedia greca, non è ordalia, ma è comunque il piccolo film nel film di cui ora nel quartiere Esquilino tutti parlano: ora che “Dogman” di Matteo Garrone è il candidato italiano agli Oscar, il pensiero cinematografaro e non solo (pure immobiliare, si vedrà) corre all’altro, colui che l’Oscar l’ha già vinto, il Paolo Sorrentino de “La grande bellezza”, lungometraggio e topos talmente popolare da comparire persino nel libro “Un Capitano” di Francesco Totti (lui, il Capitano, a Roma vorrebbe passeggiare di notte come nel film del regista che romano non è – e qui si apre un altro film nel film sulle vite parallele dei due gemelli diversi della macchina da presa).

     

La questione immobiliare, prima di tutto, si squaderna davanti all’ignaro non abitante del quartiere nel momento in cui si apprende che Garrone e Sorrentino, fino a poco tempo fa anche inquilini dello stesso palazzo in piazza Vittorio (oltreché comuni portatori della nomea di “grande regista italiano”), con relativa competizione presunta per la casa più bella, al momento sono divisi da un fatto: lui (Garrone) non abita più lì, e anzi, qualche giorno fa, a ridosso di via Merulana, si favoleggiava attorno a un annuncio comparso su Immobiliare.it: “Trilocale piazza Vittorio Emanuele II, pieno centro di Roma…nella bellissima piazza Vittorio disponiamo di un appartamento signorile…”. E c’era chi proprio a lui pensava, al Garrone candidato italiano all’Oscar che, per motivi personali e non certo cinematografici, metteva suggello nella pratica (una vendita?) alla condizione di fatto: non-più-vicini-di casa, con Sorrentino, non più su piani diversi ma con possibilità di incontro nell’androne (disse Garrone una volta a Giuseppe Videtti, su Repubblica: “Abitiamo nello stesso condominio… ma io, nel periodo dell’Oscar, evitavo di incrociarlo in ascensore. Diciamo che non siamo da pacche sulle spalle…”).

 

E, forse perché ex promessa del tennis con un luminoso avvenire tennistico dietro le spalle, Garrone aggiungeva: “La competizione è sana, da ex sportivo penso sia uno stimolo, una spinta a fare meglio…non cado in questi tranelli, neanche ci sto male, perché ognuno di noi segue percorso, segno e poetica assai ben definiti…”. E però c’è chi, tra gli habitué delle kermesse cinematografiche, ricorda sotterranee tensioni durante i festival di Cannes in cui i due si sono trovati a marciare lungo lo stesso tappeto rosso, nonostante le foto che li ritraggono insieme sorridenti. E qui si apre un’altra sottostoria, quella che vuole Garrone conquistare la Francia – a Cannes ha vinto il Gran Prix prima con “Gomorra”, nel 2008 (anno in cui Sorrentino era presente con “Il Divo”), e poi con “Reality”, nel 2012 – mentre Sorrentino si apprestava a conquistare l’America (Oscar e Golden Globe per “La grande bellezza” nel 2014, e ci fu chi allora ci vide lo zampino della Nemesi e insomma la chiamò incautamente “rivincita”). Incautamente: nel senso che questa della rivalità tra i due è storia che i due non sopportano o forse fingono di non sopportare.

 

Le polpette nell’attico di Sorrentino, il disco-bistrot giovanile di Garrone. Il giorno, la notte, l’amore e il dolore

Difficile scandagliare gli animi di due ex vicini di casa, eppure c’è qualche certezza. Andando a ritroso: da un lato l’sms inviato da Sorrentino a Garrone qualche tempo fa, dopo aver visto “Dogman” (il succo era: grande film), dall’altro il fatto che Sorrentino, tra i due, è quello che può vantare alle sue cene (cuoca la moglie giornalista Daniela D’Antonio) il più alto numero di celebrità appartenenti alla cerchia intellettuale del cinema americano, tra cui uno stralunato Wes Anderson a Roma e una Jane Fonda golosa delle polpette di cui sopra, come ha raccontato Michele Masneri su questo giornale. Infine c’è l’intervista al “Guardian” in cui Garrone (nel 2016) parla apertamente della rivalità con Sorrentino, a suo dire cucita dai media addosso a tutti e due: “Io e Paolo abbiamo finalmente un buon rapporto. Per un periodo, no. Non sappiamo perché. Ma non ci dicevamo nemmeno ciao – e abbiamo vissuto nello stesso palazzo per gli ultimi cinque anni…Penso sia stato per colpa dei media. Hanno provato a dipingerci come rivali e per un po’ di tempo ci sono riusciti”.

  

Di sicuro c’è stato un tempo in cui i due – emergenti non ancora emersi – potevano permettersi di cenare come due compagni di scuola al cospetto dei fratelli Coen all’Hotel De Russie. Di sicuro c’è che il napoletano Paolo ha girato il film del successo (“La grande bellezza”) nel territorio del romano Matteo, anche se in una Roma tangenziale a quella frequentata da Garrone, e che il “Gomorra” del successo di Garrone è girato a Napoli, anche se non nella Napoli in cui è cresciuto Sorrentino. Tuttavia la tentazione collettiva di dipingerli come rivali torna a ogni Nastro D’Argento o David di Donatello che dio mandi in terra, forse perché Garrone e Sorrentino, personaggi dello stesso film nel film, si prestano alla drammatizzazione per motivi non soltanto cinematografici (estetiche e tematiche che più diverse non potrebbero essere), ma perché sembrano disegnati apposta per essere nemici-amici, a partire da un piccolo ma significativo particolare (la presenza di Toni Servillo in “Gomorra” e nel “Divo”: stesso anno, stessa faccia e, come si è detto, stesso festival di Cannes) fino alla Weltanschauung e al diverso romanzo di formazione: partenopeo Sorrentino, figlio di padre bancario e madre casalinga e orfano di entrambi i genitori dall’età di sedici anni (il regista ha raccontato ad Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, la sera in cui la sua vita cambiò: mamma e papà morti nel sonno per colpa di una stufa nella casa di montagna; lui miracolosamente salvo per aver ottenuto il tardivo permesso di andare a vedere sul campo Diego Armando Maradona, e poi per molti anni confuso, fino alla decisione di abbandonare l’Università per il cinema, a pochi esami dalla laurea di Economia che voleva prendere per fare un regalo postumo al genitore).

 

Quando abitavano nello stesso condominio senza parlarsi, e quando Sorrentino manda a Garrone sms di complimenti

Invece Garrone è romanissimo, ma pariolino non nel senso comunemente inteso (giro Roma Nord-anni Ottanta nella piazza Euclide da cinepanettone), anzi: il regista viene da una famiglia di artisti, con padre critico teatrale, madre fotografa e gioventù alternativa, anche se a suo modo confusa come quella di Sorrentino (il padre di Garrone, ha raccontato Garrone sempre a Repubblica, era disperato perché il ragazzo, non ancora avviato al cinema ma già non più promessa del tennis, “non leggeva un libro neanche sotto tortura”, motivo per cui il genitore “era arrivato al punto” di “offrirgli delle paghette per ogni romanzo terminato”). Lo salvò l’avversione preventiva per un futuro da maestro di tennis: a quel punto Garrone iniziò a lavorare nel cinema come aiuto operatore e fotografo di scena, anche se a Roma, in quel periodo, era conosciuto più come il Garrone delle feste, ex ragazzo silenzioso che, a metà degli anni Novanta, animava le notti dei ben poco pariolini ex studenti della Trimurti di licei storici Visconti-Virgilio-Mamiani nel suo disco-bistrot-atelier di Via Archimede, a due passi da piazza Euclide (locale ben arredato dove gli avventori arrivavano in motorino dal centro, per ballare su musiche che allora apparivano un po’ revival e un po’ d’avanguardia, e per bere drink fronte strada nella sala al piano superiore, anche usata, il sabato pomeriggio, per festicciole di bambini). Grande fu dunque la sorpresa di alcuni ex avventori di via Archimede quando, al Festival di Venezia 1998, improvvisamente si capì che il regista di “Ospiti”, film colà premiato, era proprio il Garrone di via Archimede, il quale poi lasciò interdetta tutta la Roma che, avendolo conosciuto timido viveur, se lo ritrovava di colpo trionfatore a Cannes. Ne discendono, da allora, grandi dibattiti tra ex frequentatori intellò di Via Archimede.

 

A ogni uscita di un film di Garrone o di un film di Sorrentino il concetto è: o li odi o li ami, ma mai insieme, racconta un testimone, e c’è sempre qualcuno che dice qualcosa tipo “visionario come Garrone Sorrentino mai” e qualcuno che invece dice “il vero visionario è Sorrentino” (e se per caso nel consesso capita anche qualche ex ragazzo di Via Archimede diventato critico cinematografico le cose si complicano). In generale, a Roma, le fazioni sono due: quelli a cui è piaciuta “La grande bellezza” e quelli a cui “La grande bellezza” fa venire i nervi (guarda caso questi ultimi pensano che Garrone sia un genio fin dall’“Imbalsamatore”, mentre i primi trovano Garrone inquietante fin dall’“Imbalsamatore”). E quelli che hanno adorato Garrone per “Il racconto dei racconti”, pur trovandolo “a tratti difficile”, sicuramente hanno detestato Sorrentino per “Loro 1” e “Loro 2”, pur trovandoli “a tratti interessanti”. Poi c’è il paradosso del fan parziale di entrambi: quello a cui piace Sorrentino solo in “This must be the place” (motivazione: “E’ il meno sorrentiniano dei suoi film”) e Garrone solo in “Reality” (motivazione: “E’ il meno garroniano dei suoi film”).

  

Opposto romanzo di formazione, identica confusione. Sorrentino a Napoli, Garrone nei “Parioli non pariolini”

E insomma la diversità dei due registi, quasi coetanei ma contigui soltanto negli anni di piazza Vittorio in cui erano a loro volta vicini (per casa e professione) a Willem Dafoe, Claudio Santamaria ed Enzo Monteleone, ha fatto da canovaccio per ogni genere di leggenda metropolitana: c’è chi, nell’ambiente cine-esquilino, parla di un fato revanscista che ha voluto Sorrentino anche scrittore dopo il premio vinto da “Gomorra” di Garrone a Cannes (con “Hanno tutti ragione”, Sorrentino è stato finalista al premio Strega nel 2010), e di un invisibile giustizia semidivina che porta a Hollywood, con la candidatura italiana all’Oscar e con i critici americani rapiti da “Dogman”, il Garrone finora non idolatrato oltreoceano come il collega, anche se adorato dai francesi (a Parigi, racconta un romano trapiantato Oltralpe, c’è chi già aspetta con ansia il “Pinocchio” di Garrone, film in lavorazione e antica ossessione del regista che da piccolo, dice un amico, disegnava molti burattini e svariati Mangiafuoco).

  

Quando poi non ci si può appellare alla spaccatura geopolitica tra fan e detrattori dei due (Francia contro Stati Uniti, Parioli contro Pozzuoli), ci si aggrappa all’opposto stile di vita: Sorrentino che, con la moglie giornalista Daniela, forma una coppia privata e pubblica tipo presidente-first lady, e Garrone che, a un certo punto, si fidanza con Nunzia De Stefano, ex domatrice di elefanti conosciuta durante la lavorazione di “Gomorra” (i giornali titolavano entusiasti “la Cenerentola di Scampìa”), e la porta a Roma, nella famosa casa dove ora il regista, dopo anni insieme e un figlio, non abita più, ma che un tempo era arredata, dice chi c’è stato, con mobili d’antiquariato cinese comprati in un negozio a ridosso del Portico D’Ottavia, poi chiuso ma allora frequentatissimo dagli ex avventori radical-chic di Via Archimede (tutto torna). E se Sorrentino, nelle interviste, parla senza giri di parole del lutto che l’ha segnato, del se stesso adolescente e del senso di abbandono con cui a lungo ha convissuto, Garrone, nelle interviste, parla senza giri di parole di lati oscuri, timidezze e ossessioni (le sue, ha detto al Corriere della Sera, sono “l’amore e il sesso”). Uno è descritto come diurno, a parte le cene nel favoloso attico con polpette, l’altro come notturno, a parte le passeggiate ai giardini con il figlio. Uno indaga la rabbia e la violenza (“subisco il suo fascino, è parte della vita”, dice Garrone), ma poi definisce “Dogman” come il suo film “più dolce e femminile”. L’altro parla di “Loro” come di un racconto intimista attorno alla “paura della vecchiaia e della morte”, ma dopo aver vinto un Oscar mettendo in scena, ne “La grande bellezza”, la ferocia della socialità. E insomma non se ne esce. Ogni volta che tra piazza Vittorio e via Merulana risuona il nome di questo o di quello, riparte il valzer su chi è chi, e a chi assomigli: Coppi e Bartali, Borg e McEnroe, Fellini e Antonioni, Garrone e Sorrentino.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.