I puristi traditi dei libri
C’è un motivo se gli adattamenti dei romanzi provocano quasi sempre delusione e smarrimento
Era meglio il libro. Lo immaginavo diverso. Manca la mia scena preferita. Si chiama “delusione da adattamento”, capita quando un libro che conosciamo diventa un film. Più spesso, di questi tempi, quando un libro diventa una serie: qui girano i soldi, qui le barriere d’entrata sono più basse, qui maturano i casi più interessanti – chi mai, fuori dagli Usa dove era parte del dibattito “violenza domestica”, aveva sentito parlare di “Piccole grandi bugie”, il romanzo di Liane Moriarty da cui la Hbo ha tratto “Big Little Lies”? (La seconda stagione, sempre con Nicole Kidman e Reese Witherspoon, nel 2019).
Ne hanno sofferto, di recente, i cultori di Shirley Jackson. Felici all’annuncio che “L’incubo di Hill House” sarebbe diventato una serie Netflix (“The Haunting of Hill House”, showrunner Mike Flanagan) speravano di ritrovare un po’ di ironia, magari di scetticismo. Nel romanzo, uno scienziato più un paio di ragazze più il proprietario dei muri sfidano la casa stregata – “spaventaci se hai il coraggio”. Fa notare una ragazza sveglia: “In tutte le case prima o poi muore qualcuno, perché allora gli spettri sono così rari?”. “Liberamente tratto” non rende l’idea di una serie che a Hill House piazza una famigliola, e accadono cose terribili. Paura, sicuro. Ma l’originale somigliava al “Giro di vite” di Henry James: sono i bambini a essere posseduti, o è la governante fuori di testa?
Ne soffriranno, forse, i lettori di Philip Roth: Hbo ha annunciato una serie tratta da “Il complotto contro l’America”. Il romanzo immagina che alle elezioni presidenziali del 1940 Charles Lindbergh – l’aviatore che nel 1927 fece la prima trasvolata atlantica – vinca su Franklin Roosevelt. Basta l’annuncio della candidatura, ascoltato per radio, a preoccupare il quartiere ebraico di Newark: la gente scende in piazza contro il pilota che aveva simpatia per Hitler, visitava spesso la Germania nazista, era contrario all’intervento dell’America nella Seconda guerra mondiale (voluto, secondo Lindbergh, dalla “lobby ebraica”: da lì ai pogrom il passo è breve).
Gli sceneggiatori sono due campioni, David Simon ed Ed Burns. Insieme hanno in curriculum la magnifica scrittura di “The Wire”: Baltimora vista attraverso il traffico di droga, usato come un prisma che scompone la luce bianca nell’arcobaleno. Nulla ancora si sa sul ricco cast necessario per rendere la vivacità del quartiere popolare –i registi americani non lavorano come gli italiani, che hanno candeggiato Napoli nella serie “L’amica geniale” tratta da Elena Ferrante: dovrebbero essere gli anni 50, è più lustra di una cittadina nordica oggi.
Variety annuncia che nel “Complotto contro l’America”, gli Stati Uniti degli anni Quaranta saranno messi in parallelo con l’America di Donald Trump. (Sappiano comunque i parallelisti che quando il romanzo uscì, nel 2004, era presidente George W. Bush, e i commentatori dissero più o meno le stesse cose).
A chi non fa tanta differenza tra Philip Roth e Philip Dick – son diversi, ma bravi entrambi – “Il complotto contro l’America” sembrerà imparentato con la serie Amazon “The Man in The High Castle”: tedeschi e giapponesi hanno vinto la Seconda guerra mondiale e si sono spartiti gli Stati Uniti. Più radicale ancora nel suo pessimismo, “Buona apocalisse a tutti”, prossimamente su Amazon. Sta per arrivare la fine del mondo, le speranze dell’umanità sono riposte in un angelo e un diavolo ormai abituati alla dolce vita terrena, non vorrebbero lasciarla. Dal romanzo di Terry Pratchett e Neil Gaiman: insieme e separati hanno abbastanza fan da scontentare.
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