Marwen e l'arte di inventarsi un mondo per salvarsi la vita
L'autore di Forrest Gump, Robert Zemeckis, porta al cinema l'incredibile storia di Mark Hogancamp, la rivincita di un uomo “comune” e sfortunato
L'8 aprile del 2000, Mark Hogancamp, un trentottenne di Kingston, New York, esce da un bar che è solito frequentare fino all’orario di chiusura. Hogancamp è un uomo singolare e allo stesso tempo un uomo come tanti se ne possono pescare fuori dai migliaia di pub nei sobborghi degli Stati Uniti d’America: divorziato, ex marinaio dell’US Navy, alcolizzato, lavora come cameriere e ogni tanto come illustratore - quando non è troppo sbronzo per alzarsi dal letto della roulotte dove vive. Straparlando in quel bar, quella notte, ha rivelato di avere una passione per le scarpe da donna e di travestirsi, ogni tanto. Per questo un gruppo di cinque balordi che stavano al bancone come lui decidono di aspettare per seguirlo fuori dal bar e pestarlo a morte. Dopo nove giorni in coma per i traumi ripotati, a causa della forza dei calci ricevuti alla testa – e che lo hanno quasi ucciso - Mark non ricorda più nulla della sua vita adulta: i cinque anni arruolato in Marina, il matrimonio, il divorzio, gli amici, il lavoro e l’alcolismo. Ha una profonda cicatrice sul viso, danni apparentemente irreversibili al cervello. Deve imparare a mangiare, a camminare, a scrivere. La capacità di disegnare è stata cancellata. Quaderni con pagine e pagine riempite a fatica di lettere uguali e la difficoltà a tenere in mano anche una tazza di caffè - che se non altro aveva sostituito ai due litri di alcolici che assumeva nei giorni di profonda tristezza e abbandono di se. Davanti a lui la tenue speranza della riabilitazione.
Passano anni, un suo vicino di casa, il fotografo David Naugle, inizia a notare un personaggio alquanto singolare che è solito passeggiare sul ciglio della statale che porta in città. L'uomo è sempre vestito con quelle che sembrano uniformi della Seconda Guerra mondiale, si trascina dietro un modellino di jeep Willys con su dei Big-Jim come passeggeri. Spinto dalla curiosità un giorno si ferma a domandargli cosa si stesse tirando appresso. Mark, nonostante una certa dose di timore, gli racconta la sua storia: quella è la terapia che si è inventato per recuperare parte della sua vita.
Terminate le cure di riabilitazione sostenute dall’assicurazione e riacquistata almeno la coordinazione delle mani, Mark si era inventato un modo, ma sopratutto un mondo tutto suo, per cercare di tornare in possesso dei ricordi che i suoi aggressori “gli avevano preso a calci” fino a toglierglieli dalla testa. Aveva creato una piccola città di bambole nel giardino dietro alla sua roulotte, dove il suo alter ego in scala 1:6, insieme a decine di altre barbie e altre action-figure, cercava di rivivere i momenti della sua storia: il suo matrimonio (che aveva scoperto guardando vecchie fotografie dimenticate), i suoi desideri d’amore e anche quelli di vendetta nei confronti dei suoi aggressori, sempre rappresentati da un gruppo di crudeli militari delle SS naziste.
L’espediente narrativo con il quale la storia era cominciata si rifaceva all’atterraggio di fortuna di un pilota di caccia americano - Capitan Hogie (Mark). Il suo P-40 bersagliato dalla contraerea era caduto nei pressi di una cittadina belga abitata da sole donne che lo avevano salvato e accolto tra loro. La città si chiamava Marwencol - dalla fusione del suo nome con quello di due infatuazioni giovanili, Wendy e Colleen - e lì, ogni giorno, una serie di trame e intrecci, drammatici ma anche comici, andavano in scena da anni con Mark come “regista”, che in un secondo momento aveva iniziato a catturarle in frame con un vecchia macchina fotografica Pentax.
Viste le fotografie, David Naugle incoraggiò Mark a mostrarle e condividerle per il loro profondo valore artistico. Questo finì con il catturare l’attenzione del mondo dell’arte. Gli scatti vennero esposti in una galleria di Manhattan ottenendo un grande successo. Ne seguì la stesura di un libro, e alla realizzazione del pluripremiato documentario di Jeff Malmberg “Marwencol”: la riabilitazione di uomo che veniva ridicolizzato per giocare ancora con le bambole, un uomo che era quasi stato ucciso per aver confessato, una notte, in un bar, di essere un “cross-dresser”.
Nel piccolo mondo di Hogancamp, i suoi aggressori lo torturavano e segnavano il suo volto con la stessa cicatrice che gli avevano lasciato nella realtà, ma le sue salvatrici - come Deja - arrivavano sempre in tempo per difenderlo e portarlo in salvo. Pian piano Marwencol si arricchiva di personaggi che rappresentavano amici e familiari - come la madre di Mark (una bambola di Pussy Galore di 007), il suo analista, il suo amico David, il regista Jeff -, lui aveva iniziato a gestire un bar, il “Ruined Stocking”, e le storie di fantasia che venivano inscenate dentro e fuori quel bar riguardavano spesso desideri appartenenti alla vita vera: desideri di Mark o dei suoi amici reali.
Ma tutto questo non sempre è stato oggetto di accettazione o incoraggiamento nel mondo reale. Ora che il regista Robert Zemeckis (autore dell’indimenticabile Forrest Gump) ha deciso di adattare la storia di Hogancamp nel lungometraggio “Benvenuti a Marwen”, si è scoperto ad esempio perché il titolo non riporti il nome completo della città. La motivazione va cercata nel rifiuto di una delle due infatuazioni di Mark, Colleen Vargo, di voler far parte dei suoi “giochi”. La vicina di casa ha affermato di essersi sentita molto a disagio nello scoprire che Mark la vedeva come sua compagna di vita delle storie di Marwencol.
Zemeckis, che si è imbattuto in questa vicenda navigando su internet, ha trovato fin dal primo momento nella storia di Mark un potenziale enorme da portare sul grande schermo. Era l’occasione per raccontare la strabiliante e toccante storia di un uomo “comune” e sfortunato, che ha saputo rendere la propria vita una fantastica prova di rivalsa personale. Un uomo che ha fondato il suo risorgimento sull’importanza delle donne della sua vita.
Politicamente corretto e panettone