Ted Bundy - Fascino criminale
La recensione del film di Joe Berlinger, con Zac Efron, Lily Collins, Kaya Scodelario
Di polemiche sciocche ne abbiamo sentite, ma alcune sono più sciocche delle altre. Ted Bundy era un serial killer, ammazzò almeno una trentina di ragazze, nel 1989 fu giustiziato (aveva 42 anni). Non bisognava scegliere per la parte un attore bello e amato dalla ragazzine come Zac Efron, dicono i contrari.
Già, adesso gli assassini seriali dovrebbero andare in giro con il marchio dell’assassino seriale stampato in faccia. Ma li vedete i telegiornali? Ogni volta che viene arrestato qualcuno, di solito un tipo che ha seppellito cadaveri in cantina, i vicini si affrettano a dire: era così gentile, così garbato, proprio una persona per bene (“Usava concime biologico in giardino”: questa l’abbiamo presa da un romanzo, “Amabili resti” di Alice Sebold, ma prima o poi diventerà cronaca).
Ted Bundy aveva moglie (e una figliastra). Vediamo il primo appuntamento, l’idillio, il fermo per non aver rispettato uno stop, la prima condanna. Anche le evasioni: studiava legge, decise di difendersi da solo, e per questo poteva frequentare la biblioteca, ovviamente non provvista di sbarre. Un po’ ripetitivo, i salti cronologici non aiutano, ma il criminale ha un magnifico guardaroba anni ‘70.
Politicamente corretto e panettone