Zombie e tradizioni a Cannes 2019
Si apre il Festival dell’inclusione, tutti vorrebbero vedere Il Trono di Spade e nessuno osa chiederlo
“La grande domanda”, titola l’imbattibile newsletter di Deadline (per i tempi della notizia, almeno: Variety è più bravo a raccontare storie). Siamo curiosissimi di conoscere la grande domanda di Cannes 2019, aperto ieri dagli zombie di Jim Jarmusch, “The Dead Don’t Die” e un cast da far felice anche il più snob dei red carpet. Pensiamo subito a Netflix, ancora bandita finché non si deciderà a venire a patti con i distributori francesi. Sbagliato: la grande domanda riguarda “Game of Thrones”, e suona così: “Dove andremo a vedere l’ultima puntata, la notte del 19 maggio?”. C’era stato un precedente nel maggio 1998, con l’ultima puntata della serie “Seinfeld”. Ma a Cannes girava allora, applaudito e riverito, l’innominabile Harry Weinstein: con i potenti mezzi della Miramax organizzò una proiezione su maxischermo all’American Pavillion.
Il festival non organizza niente (qualcuno ha avuto la faccia tosta di chiederlo, o di far finta di averlo chiesto, al direttore Thierry Frémaux). Ha fatto pervenire invece lo stato dell’arte, quanto al protocollo d’intenti 50/50X2020. Vuol dire che entro il 2020, più o meno dopodomani, bisogna spartire la torta a metà tra uomini e donne. Ci siamo quasi nello staff operativo, non ancora nei film selezionati. Quattro registe sono in gara per la Palma d’oro, a fronte di 17 registi, quasi il venti per cento. Nella sezione Un Certain Regard le registe sono otto e i registi undici – si capisce che qui il concorso è un po’ meno prestigioso. La conferma sta nelle proiezioni speciali fuori concorso: tre femmine e otto maschi.
Sono cifre che si leggono con un po’ di terrore, visto e considerato che indubitabilmente – almeno finora – le donne che girano film sono molto meno degli uomini. Fa più spavento ancora immaginare gli sviluppi futuri, quando verranno esaminate le trame. Ci sono almeno due donne con ruoli “parlanti”, e quando parlano non parlano di uomini? Si chiama “test di Bechdel”, e nessuno ricorda mai che lo ha inventato la fumettista lesbica Alison Bechdel, da qui la clausola “i maschi non sono argomento di conversazione”.
Grazie agli ottimi rapporti con i distributori francesi (l’hanno vinta sui film prodotti da Netflix, che qui potrebbero andare in streaming solo tre anni dopo l’uscita in sala) la cerimonia di apertura è stata trasmessa in diretta da seicento sale cinematografiche. Seguita, e qui sta l’interessante, dal film “The Deads Don’t Die”, programmato nei cinema in contemporanea con Cannes 2019. Gli spettatori italiani dovranno pazientare fino al 13 giugno. Sarà una delle perle di “Moviement”, l’associazione che vuole riportare gli spettatori italiani al cinema d’estate. I buoni propositi crollano quando scopriamo la data di “C’era una volta… a Hollywood” di Quentin Tarantino: 16 settembre.
Convincere gli spettatori italiani a frequentare le sale estive è come convincere gli americani a mangiare i broccoli. Rubiamo il paragone a Mike Fleming, che lo usa chiacchierando di cinema d’autore con Alejandro Gonzalez Inarritu, presidente della giuria che assegnerà la Palma d’oro (quattro maschi e quattro femmine, ci mancherebbe; e la giuria del Certain Regard invece è presieduta da una donna, Nadine Labaki regista di “Cafarnao”). Anche Inarritu ha un punto da segnare: “Sono il primo messicano e addirittura il primo latinoamericano in questo ruolo”. Unica scintilla di ottimismo. Di lì a poche righe, per descrivere il mondo che ci sta intorno, dove tutto è impazzito compreso il clima, tirerà in ballo il Titanic. Sarà, però finché l’orchestra suona godersela non è peccato.
Politicamente corretto e panettone