Meglio con gli orsi
Buzzati in cartoon con Mattotti ci salva dai soliti pensosi Dardenne e dalla solita Huppert dei tormenti
Arrivano in concorso a Cannes i fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, e lo spettatore si interroga: disoccupati? infanzia maltrattata? qualche altra sciagura? “Rosetta” – il loro primo film, nel 1999 vinse a sorpresa la Palma d’oro – raccontava una ragazza che mangiava terra e vermi pur di mettere qualcosa in pancia. “L’enfant” – l’altro loro film che nel 2005 vinse meno a sorpresa la Palma d’oro – raccontava una giovane coppia: lei è incinta, non hanno dove stare, lui vende il figlio ai criminali di passaggio. “Le jeune Ahmed” è adolescenza disturbata, delle peggiori: un ragazzino va in moschea, si ribella alla maestra di arabo che oltre al Corano vuole far leggere i testi delle canzoni, afferra un coltello e cerca di ammazzarla sul pianerottolo. Prima lo abbiamo sentito dire, alla sorella con la maglietta senza maniche: “ti vesti come una puttana”.
Non è un inizio che ben dispone. Consola soltanto la lunghezza aurea di un’ora e mezza. Un po’ di curiosità sul ragazzino l’abbiamo, magari per capire come mai fino a un mese prima giocava ai videogiochi e oggi prega cinque volte al giorno. Siccome i Dardenne non tagliano via le parti noiose, le abluzioni prima di stendere il tappetino verso Mecca non hanno più segreti per noi. Niente. Ma proprio niente. E non sapremo niente fino alla fine del film.
Neanche oltre la fine del film: i Dardenne si astengono da tutto, mentre il ragazzino viene mandato in fattoria per un tentativo di rieducazione. Pochissimo riuscita: fuggirà per portare a termine la missione, cadrà da un tetto forse rompendosi la schiena, e l’insegnante gli chiamerà pure l’ambulanza. Segue dibattito, si diceva ai tempi del cineclub. Qui la materia è talmente slabbrata e sconnessa che la voglia di dibattere sparisce, ci si mette in coda sperando nel film successivo.
Arriva in concorso a Cannes un film con Isabelle Huppert, e lo spettatore si domanda: quali tormenti femminili ci toccano stavolta? (registi, proponetele ogni tanto una parte comica, e magari guardate l’episodio di “Chiami il mio agente” dove la divina scherza sulla sua agenda fittissima e la sua mania di controllo). In “Frankie” è un’attrice che in punto di morte – da credersi sulla parola, appare in gran forma – riunisce nella leggiadra cittadina di Sintra, Portogallo, l’ex marito, il figlio e la figliastra, la sua parrucchiera preferita che sta lavorando in Spagna per “Star Wars”.
Battute stanche – “Chewbacca ha cambiato pettinatura?” – e un cast privo di chimica, lsabelle Huppert e il marito Brendan Gleeson non sembrano aver passato insieme neppure un minuto. Il regista Ira Sachs aveva diretto il melodramma immobiliare “I toni dell’amore”: matura coppia gay, un licenziamento, l’appartamento a Manhattan costa troppo, di cambiar quartiere non se ne parla. Americano, vuol fare l’europeo: quindi smorza i litigi e allunga i tempi. Quanto al finale, lo affida agli spettatori: un cinema sinceramente democratico.
Nella sezione “Un certain regard”, la felicissima accoppiata tra Dino Buzzati (aveva scritto e disegnato la favola nel 1945 per il Corriere dei Piccoli) e l’illustratore Lorenzo Mattotti (alla sua prima regia) regala “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”. C’era un fantastico materiale – gli orsi, le lezioni di pesca al salmone, la battaglia con le palle di neve, i cinghiali volanti, il cantastorie con la bambina Algerina. Lorenzo Mattotti ha aggiunto tutto il suo talento: le luci, i paesaggi, il circo, il mago che vuole risparmiare sugli incantesimi, ricordano che il cinema deve dare spettacolo.
Politicamente corretto e panettone