Perché il cinema può vivere anche di videogiochi
Da Lucas a Cinecittà. Una possibilità di mercato per il grande schermo
Roma. E’ di un paio di settimane fa la notizia che il presidente francese Emmanuel Macron stia sollecitando la formazione di un’alleanza europea per sostenere la crescita delle industrie creative nel Vecchio continente, per contrastare la competizione dei giganti americani (Netflix, Disney, Apple) e dei sempre più rilevanti corrispettivi cinesi. Quello delle industrie creative è un settore strategico per l’Europa. Il motivo è presto detto: la varietà e la profondità delle culture che la compongono costituiscono un vantaggio competitivo rilevante nel sapere raccontare storie coinvolgenti e dal forte impatto. Basti pensare all’innumerevole quantità di simbolismi e sedimentazioni culturali che caratterizzano la storia dei popoli europei, una fonte d’ispirazione inesauribile per chi fa dello “storytelling” il proprio mestiere.
L’Italia, certo, rientra tra quei paesi che possono meglio coniugare creatività e competenze tecnico-artistiche per la realizzazione di un’opera culturale. L’audiovisivo è un settore esemplare da questo punto di vista, caratterizzato sia da casi di successo che da importanti sfide per il futuro. Infatti, se da un lato il cinema italiano è riuscito negli anni a distinguersi per la qualità di contenuti che racconta, dall’altro l’Italia deve recuperare parecchia strada sullo sviluppo dei nuovi linguaggi dell’audiovisivo, come quello del videogame.
Cinema e videogioco sono due arti narrative distinte, ma che possono supportarsi a vicenda. Uno dei primi tentativi di dialogo tra questi due mondi è stato realizzato nel 1982, l’anno in cui George Lucas ha fondato la LucasArts, costola della Lucasfilm con il compito di esplorare il modo in cui cinema e videogame potessero trovare una sintesi vincente. Da quella sperimentazione sono nati titoli di successo come Indiana Jones and The Last Crusade (1989) e Star Wars: X-Wing (1993). L’enorme influenza che questi franchise hanno avuto a livello globale (esportando i valori e i modelli culturali del paese in cui sono stati creati) dà un’idea del potenziale che l’Europa può sfruttare combinando cinema e videogame in un approccio produttivo più integrato.
Torniamo in Italia. Il cinema italiano è un reparto consolidato ma che presenta una serie di incertezze riguardo la sua sostenibilità di medio e lungo termine, il videogioco è invece in grandissima crescita ma manca di un ecosistema a supporto della filiera paragonabile a quanto accade nel cinema.
Per questi motivi sono state intraprese una serie di iniziative volte a incoraggiare lo sviluppo del settore videoludico in Italia: per esempio dal 3 al 5 luglio 2019 avrà luogo a Pisa First Playable, un evento promosso da Aesvi (Associazione editori sviluppatori videogiochi italiani) e Toscana Film Commission in cui gli studi di sviluppo avranno occasione di presentare i propri prodotti a più di venti publisher internazionali. La Toscana Film Commission ha deciso di fare parte di questa iniziativa, individuando un’opportunità di innovazione e di internazionalizzazione per tutto il comparto audiovisivo italiano. Nel Lazio invece le sinergie tra cinema e videogioco si sperimentano al Rome Video Game Lab, il festival degli applied game che si svolge oramai da due anni all’interno degli studi di Cinecittà. Il festival, prodotto da Istituto Luce Cinecittà con la collaborazione di Aesvi e QAcademy e con il sostegno del ministero per i Beni culturali e della Regione Lazio, riunisce professionisti del mondo del cinema e del videogame proprio con l’obiettivo di esplorare le connessioni tra queste due arti narrative.
Appare chiaro come alcune figure professionali possano lavorare sia per una produzione cinematografica che per uno studio di sviluppo: sceneggiatori, esperti di Vfx (effetti visivi), registi e direttori della fotografia possono cimentarsi nella produzione di videogame. Anche la trasposizione di un film in videogioco (o viceversa) può contribuire a fare crescere entrambi i settori, sia a livello di finanziamenti che di nuovi posti di lavoro.
Una possibile strategia da perseguire a livello europeo, dunque, è quella di fare dialogare tra loro gli addetti ai lavori delle arti narrative (autori, sviluppatori, registi, disegnatori) per incoraggiare lo sviluppo di opere uniche nel loro genere, ma anche di nuove linee di business che contribuiscano a sostenere l’intero apparato produttivo delle industrie creative. In questo la Vivendi di Vincent Bolloré avrebbe un vantaggio: è operativa nel settore media e controlla Gameloft, uno dei primi distributori di videogiochi al mondo.
Sapere fare bene questo non significa solamente proporre forme di intrattenimento di qualità. Se l’Europa sarà in grado di affermarsi nella produzione di contenuti narrativi distintamente europei, potrà sia contribuire alla costruzione di una comune identità europea, solidamente radicata nella storia dei suoi popoli (un’identità di cui oggi abbiamo disperatamente bisogno) sia esportare con convinzione un modello di valori civili e culturali per cui già oggi primeggia, essendo il più avanzato esperimento politico mai tentato dalla civiltà umana.
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