Le tappezzerie alla Wes Anderson e altri esercizi di stile
Sono in vendita le carte da parati (vere) disegnate dal regista. Iniziamo a pensare a chi ispirarci per le prossime
Come tende doccia, avevamo la scelta tra la tavola periodica degli elementi (vista nella serie “The Big Bang Theory”, quando i nostri eroi non pensavano neanche lontanamente di fidanzarsi e convolare a nozze) e la più classica “Psycho”. Nei modelli con la sagoma di Hitchcock, con il pugnale e qualche goccia rosso sangue, con la sagoma della mamma assassina con la crocchia.
Come carte da parati stavamo a zero. Per fortuna ci ha pensato Wes Anderson: le sue tappezzerie sono in vendita sul sito MuralsWallpaper. Sue nel senso che le ha disegnate, ispirandosi ai “Tenenbaum” e a “Gran Budapest Hotel”. Le possiamo comperare alla modica cifra di 36 sterline al metro quadro. Non è tantissimo, per avere in casa le farfalle colorate, simmetricamente disposte su fondo bianco, che ricordano il campeggio di “Moonrise Kingdom”. Nome commerciale “Suzy”, come la ragazzina che nel film gira con il mangiadischi e il 45 giri di Françoise Hardy.
“Agatha” è rosa confetto, simula pannelli e profili in legno antico. Per ambientarla hanno scelto un divano e una scatola candida, immaginiamo che dentro ci sia il Courtesan au Chocolat della pasticceria Mendl’s (siamo nella fantastica Repubblica di Zubrowka, la Ruritania del regista; dove per Ruritania si intende “staterello immaginario dell’est Europa utile per ambientare storie da sogno”). “Margot” ha le tigri stilizzate, su un fondo rosso cupo: la più impegnativa, serve almeno un vecchio telefono di bakelite (sul mignolo amputato di Gwyneth Paltrow possiamo sorvolare). Le carte da parati (vere) made in Wes Anderson sono un articolo del Guardian, che prosegue immaginando altri registi e altre tappezzerie. Prima di andare avanti: c’è un altro nome che viene in mente, tranne il pop di Pedro Almodovar? (in “Tutto su mia madre” e anche in “Dolor y Gloria”). Mica tanti, e certo non sono i nomi scelti da Stuart Heritage che ha inventato l’esercizio. Più che altro, di feroce parodia.
Terrence Malick? Giammai, non amiamo i suoi film e una tappezzeria finirebbe per somigliare a quei giganteschi poster con paesaggi e tramonti, ultima risorsa per ravvivare le soffitte trasformate in stanzette per gli ospiti. Stuart Heritage suggerisce il primissimo piano di una spiga di grano. Noi vedremo meglio uno schema alla Escher, con tanti piedini di bambini.
Tim Burton avrebbe in collezione un bianco e nero, e per la stanza dei bambini l’elefantino Dumbo. La gamma di J. J. Abrams (non tanto per la serie “Lost”, per il clone spielberghiano “Super 8”) comprende solo “flare”: i riflessi sull’obiettivo che un direttore di solito evita, e nel suo caso sono promossi a stile. Riflesso Blu, Riflesso Bianco, Riflesso-che-non-si-sa bene-da-che-parte-arriva. Disponibile in varie combinazioni. E se proprio vogliamo osare, ma bisogna essere fanatici, il modello: “Vuoi dare una pulita all’obiettivo, per favore?”.
Politicamente corretto e panettone