Il #MeToo stia alla larga da Tarantino

Il critico del New Yorker Richard Brody attacca "C'era una volta a Hollywood" ossessionato dal fantasma degli scandali sulle molestie nel mondo del cinema

Mariarosa Mancuso

Si era già esibito in un lungo articolo contro Woody Allen. Ora arriva l’articolo contro Quentin Tarantino e “C’era una volta a Hollywood” (nelle sale dal 19 settembre, portate pazienza: quando i film sono a cinque stelle nessuno si fida dell’estate italiana). Richard Brody – scrive di cinema sul sito del New Yorker - è un critico alla Don Chisciotte, crede di essere un cavaliere al servizio del bene e della superiore moralità (“oltre ai giganti da stecchire, non ci sarebbe nei dintorni anche qualche donzella da redimere?”). Combatte un male che solo lui vede, frutto di un delirio di interpretazione. E derivato da un’idea di cinema vecchiotta, sappiamo dalla sua biografia che ha dedicato un libro a Jean-Luc Godard. 

 

Richard Brody ha riguardato tutti i film di Woody Allen, dopo lo sciagurato #MeToo, e li ha trovati pieni di maschi adulti che guardano le ragazzine. Ha quindi fatto pubblica abiura, perché prima gli erano pure piaciuti. Ora invece li trova morbosi e tossici (aggettivo di gran moda per far bella figura in società). Non si spinge fino alla formale richiesta di un rogo purificatore, ma si intuisce che oltre all’anima donchisciottesca coltiva voglie da Savonarola.

 

Contro Quentin Tarantino, si erge a difesa degli anni 60. Il regista ne ha una visione “regressiva fino all’oscenità”, annuncia il titolo della recensione. Dopo un breve accenno a trama e personaggi – Leonardo DiCaprio star di una serie western, ora in declino; la sua controfigura Brad Pitt; partecipazione speciale di Margot Robbie nella parte di Sharon Tate, la setta di Charles Manson sullo sfondo – Brody attacca a testa bassa.

 

Il problema – scrive – non è la nostalgia, su cui non avrebbe da ridire. Sta nella lettera d’amore indirizzata da Tarantino a una Hollywood dove i divi erano maschi, e i registi pure, per non parlare dei produttori. Se i bravi ragazzi degli anni Cinquanta e Sessanta fossero rimanti saldi sulle loro posizioni di comando – “senza aprire ai decadenti e ai liberi pensatori” – avremmo oggi un mondo migliore e più felice (è sempre Tarantino nell’interpretazione di Brody). Peccato – continua l’accusa – che fosse un mondo senza donne e senza minoranze (aggiungiamo noi, senza la correttezza politica che ormai sta distruggendo la comicità, non solo cinematografica, come l’abbiamo conosciuta finora). Ultima fitta di fastidio: l’attore e la sua controfigura pronunciano la parola “hippie” e la parola “messicani” con disprezzo. Richard Brody aveva dimenticato di aver visto “Manhattan”, dove il personaggio di Woody Allen aveva una fidanzata giovanissima. Deve aver dimenticato anche “Jackie Brown”, omaggio di Quentin Tarantino alla “blaxploitation”: non è proprio un regista cresciuto con i film europei di cineasti bianchi e artisticheggianti. Quanto alle sue donne, sparano e uccidono, mica fanno l’uncinetto.