Horror italiano
Da Pupi Avati a Roberto De Feo, i registi italiani si danno al brivido
I registi italiani si danno all’horror. Per Pupi Avati è un felice ritorno, da “La casa dalle finestre che ridono” a “Zeder” (tra gli sceneggiatori, Maurizio Costanzo), a “L’arcano incantatore”. Il 22 agosto arriva in sala “Il Signor Diavolo”, tratto dal suo romanzo uscito da Guanda: campagna veneta anni 50, tutta forcone e chiesa e voti democristiani. Un ragazzino uccide un coetaneo, un funzionario arrivato da Roma dovrebbe far luce sul mistero, ma i buzzurri fanno muro. Per contorno, ostie sputate e cavadenti.
“La casa dalle finestre che ridono” derivava in spirito da Edgar Allan Poe. Imparentata con tutte le case goticheggianti – nei film e nelle serie, da “Psycho” fino a “American Horror Story” – che appaiono al visitatore, spesso già un po’ disturbato di suo – come volti mostruosi. Dentro conservano turpi segreti, chi osa avvicinarsi lo fa a proprio rischio. Chi è costretto a viverci – o a tornarci – è assalito da orrende sensazioni e mostruose presenze. Per non lasciare dubbi, il manifesto della serie Netflix “L’incubo di Hill House” (dal romanzo di Shirley Jackson, molto meglio se dovete scegliere) inventa un incrocio tra una donna e una casa. Con le finestre all’altezza degli occhi, le punte e le torrette sono ornamenti dell’acconciatura.
Una casa con le finestre illuminate stuzzica lo spettatore sul manifesto di “The Nest - Il nido”, diretto da Roberto De Feo (uscito nelle sale a Ferragosto). In casa vivono una signora con la crocchia che pare Mrs Danvers, la governante di Rebecca la prima moglie, e un ragazzino pallido vestito come un adulto e bloccato su una sedia a rotelle. Sono madre e figlio, lei provvede a educarlo – pianoforte e governo nella tenuta, chiamata Villa dei Laghi – e intanto lo tiene prigioniero tra individui dall’aria losca. Per capirci, e rubare una formula azzeccata alla recensione di Screen International (il film era al Festival di Locarno): il sinistro dottore nel sinistro laboratorio nello scantinato – ancor più sinistro rispetto al resto della casa – è l’attore Maurizio Lombardi in “Udo Kier mode”. Gran complimento, se pensate alla galleria di spaventosi cattivi che l’attore tedesco ha nel carnet.
La disciplina è rigida, la fotografia tutta in chiaroscuro. A scombinare il nido protettivo organizzato dalla madre attorno al figliolo – nel prologo lo abbiamo visto vittima di un incidente, il padre è morto e lui è rimasto paralizzato – arriva una sveglia ragazzina. Porta musica rock e qualche brivido erotico. Lo spettatore sta al gioco, non riscontrando le goffaggini tipiche dei film italiani (il genere con le sue regole frena gli slanci artistici, tutto di guadagnato). Peccato per la lunghezza, eccessiva rispetto alla sceneggiatura. Bisognava lavorare d’astuzia e di montaggio: il modo più semplice per far risplendere il buono che c’è.
Politicamente corretto e panettone