Nostalgia dei mostri
Da E.T. a King Kong, al Palazzo delle Esposizioni una mostra celebra le creature di Carlo Rambaldi e Makinarium
Non è vero che il mostro sia il nostro alter ego o il transfert delle nostre paure, come si dice da due secoli della Creatura di Mary Shelley e come appunto puntualizzava, perfido e brillante, Mel Brooks in Frankenstein Junior. Non è detto che tutti noi nascondiamo sotto il tailleurino una parte mostruosa, il nostro personale Mr Hyde, l’es sotterraneo teorizzato da Sigmund Freud con cui Fanny Ardant giustifica ogni sua malefatta nel nuovo, strepitoso film sulla ricca vita sessuale dei sessantenni di Nicolas Bedos, Belle Epoque.
La contingenza finisce per adattare anche la percezione che ognuno ha del mostruoso, del fantastico, della chimera, al punto che a noi è capitato poche ore fa di trovarci di fronte al modello del Pinocchio costruito da Carlo Rambaldi per lo sceneggiato di Luigi Comencini e di pensare a quanti tweet mandi al giorno in rete il nipote del regista, Carlo Calenda, nuovo idolo degli operai dopo l’autodafé anti-imprenditoriale in cui riconosceva che la strada contro la cassaintegrazione sine die non sia farsi una bella start up. Ci è successo di osservare maligni la pulce ipertrofica creata per il Racconto dei racconti dagli eredi di Rambaldi, i ragazzi di Makinarium che “vestono” anche le sfilate di Gucci, pensando alle sparate anti-euro delle ultime ore “non appena ci saranno le condizioni a livello Ue” (ma sì, ci riferiamo a Claudio Borghi della Lega).
Le associazioni che di questi tempi si fanno di fronte ai quasi cento fra i paurosissimi mostri e le adorabili creature antropomorfe come E.T. creati da Rambaldi e attentamente restaurati per una delle rassegne più interessanti di questo ultimo periodo, in apertura al Palazzo delle Esposizioni (titolo completo: “La meccanica dei mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium”) sono davvero di natura molteplice e un leopardianamente po’ matrigna, cioè egoista. La verità è che ci mancano un po’, questi pupazzoni cinematografici e letterari dalla meccanica sofisticata ma perfettamente comprensibile, questi corpi fisici fatti di silicone, plastica e meccatronica come non riescono più ad essere gli effetti speciali delle serie su Netflix e come, a ben vedere, non riusciamo più a essere nemmeno noi, persi nei nostri sogni di modificazione estetica a mezzo app e nelle nostre piattaforme politiche virtuali a cui i “due Matteo”, Renzi e Salvini, hanno non a caso opposto una duplice piazza concretissima e pure grondante un po’ di sudore.
Dunque, ha fatto bene il duo presidenziale di Palaexpo, Cesare Maria Pietroiusti e Clara Tosi Pamphili, a voler affiancare a questa mostra, che già si preannuncia come un blockbuster nonostante o forse grazie all’assoluto minimalismo dell’allestimento, altre due esposizioni dedicate al corpo umano per nulla vile. La prima, un “Dizionario folle del corpo” a cura dell’illustratrice Katy Couprie, comprensiva di laboratorio per bambini. La seconda, “Sublimi anatomie”, una rivelazione dell’essenza estetica e scientifica del corpo umano realizzata da un pool che affianca Andrea Carlino ad Anna Luppi, Philippe Comar e Vincenzo Napolano a Laura Perrone: di splendida poesia i manichini anatomici proto-ottocenteschi di Jacques Fabien Gautier d’Agoty; sarebbe stato bellissimo vedere anche una parte della collezione di bambole anatomiche e riproduzioni antiche del padre di Gustave Flaubert, l’insigne medico Achille, conservata a Rouen e molto poco vista).
Fisica e arte, poesia e scienza alla ricerca del sublime e anche del suo attributo complementare, il mostruoso, in un approccio umanistico, laico, e proprio per questo celebrativo della bellezza del corpo umano, della sua assoluta purezza originaria: ed ecco quindi il primo trattato completo di anatomia descrittiva, il “De humani corporis fabrica” di Andrea Vesalio, pubblicato a Basilea, dunque in paese calvinista, nel 1543; ecco i tesori della Specola fiorentina fondata dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena nel 1775.
In questo palazzo delle Esposizioni trasformato in tempio temporaneo del corpo e anche in aula di anatomia e disegno del corpo dal vero, stupisce la capacità tutta italiana nell’analisi della fisicità ma soprattutto nella sua riproduzione traslata, fantasmagorica, surreale; in questo caso attraverso le creature fantastiche di Rambaldi e del team Makinarium di Leonardo Cruciano e Angelo Poggi. Eredi dirette dell’araldica medievale e delle proiezioni romantiche di Fussli, queste grottesche tridimensionali partono da Villa Adriana a Tivoli e progressivamente giganteggiano a Bomarzo fino a raggiungere la manona di King Kong, il primo premio Oscar vinto da Rambaldi di cui la mostra curata da Claudio Libero Pisano (che a dieci anni, racconta, scappò di casa per andare a vedere il gorilla incrudelito dall’abbandono e dal rifiuto, tema molto contemporaneo), segue il progressivo affinamento nella tecnica, dai pupazzi dello stop motion giovanile fino alle creature di “Alien”, di “Incontri ravvicinati”, di “Barbarella”. Ci si spaventa ancora e come si conviene davanti alla mummia del padre di “Profondo Rosso” (la sua visione ci ha inquietate ancora oggi, sotto teca); ci si commuove come sempre, e forse qualcosa di più della prima volta, davanti allo scheletro di metallo e fili di E.T., che indica una casa nel cielo, con il dito, lassù.