Quando a Hollywood le attrici tendevano a fuggire con i produttori
Per sposarli, s'intende. Ma poi la tentazione arrivava con il primo attore sul set
Una volta a Hollywood le attrici tendevano a fuggire con i produttori. Per sposarli, si intende, quando ancora le antiche tradizioni venivano onorate. Quando in materia si poteva scherzare come su altre faccende della vita, non necessariamente allegre né disinteressate. Quando certi scambi tra adulti consenzienti si potevano nominare senza censure. Diciamo “C’era una volta”, e lo intendiamo come nell’ultimo film Quentin Tarantino: una bella storia, non per forza vera. In quelle favole risalenti a un’epoca remota, lo sposalizio (o altra stretta familiarità) con un produttore garantiva i ruoli migliori del copione, e anche una certa posizione sociale. Capita, oggi, che le attrici siano ricche e di ottima famiglia come Julia Scarlett Elizabeth Louis-Dreyfus, la presidente incompetente nella serie “Veep”. Non era così frequente quando il cinema era giovane, rampante, non ancora minacciato dalle piattaforme streaming.
Se un’attrice era sposata con un produttore, la tentazione arrivava con il primo attore. Capitò a Ali McGraw, la ragazza mora e malatissima del film “Love Story”, amorevolmente curata da Ryan O’ Neal, di ricca famiglia - nome per intero Oliver Barrett IV - mentre lei per cognome ha un modesto Cavilleri. “Amare significa non dover mai dire mi spiace”, insegnava il romanzetto di Erich Segal, anche regista del film. Non c’era bisogno di internet per avere robaccia in cima alle classifiche, negli anni 70 facevano tutto da soli.
Ali McGraw era sposata a Robert Evans, produttore del “Padrino” (fu lui a scegliere Francis Ford Coppola, per la famiglia criminale italoamericana serviva un regista di origine italiana). Di “Rosemary’s Baby” e di “Chinatown”. Avrebbe voluto fare il Grande Gatsby, con Ali McGraw nella parte di Daisy Buchanan. Ma l’attrice con sprezzo della carriera si era innamorata di Steve McQueen (fu sostituita da Mia Farrow, accanto a Robert Redford con un guardaroba ridicolo). Il colpo di fulmine scattò sul set di “Getaway”, diretto da Sam Peckimpah e tratto da un romanzo di Jim Thompson, il meglio allora in circolazione. Sfasciato un matrimonio, se ne fece un altro (pare, con molte corna da parte di lui). Robert Evans incassò il colpo. L’autodistruzione e il cattivo carattere erano già ben noti a Hollywood, già si era alla terza moglie in una lista di sette (una durò soltanto nove giorni). I suoi alti e bassi già li aveva avuti. A 18 anni - è morto qualche giorno fa, a 96 - era già una star della radio. Una malattia polmonare gli fece cambiar mestiere, si mise a vendere abbigliamento sportivo con il fratello. Tornò al cinema per volere dell’attrice Norma Shearer. Aveva adocchiato il bel giovanotto in una piscina di Beverly Hills, e deciso all’istante che sarebbe stato l’attore giusto per recitare la parte del defunto marito di lei, il produttore Irving Thalberg, nel film “L’uomo dai mille volti”.
Effetto nostalgia