Corsa ai Golden Globe
Le nomination sono un buon termometro per capire l’aria che tira e le nostre future sofferenze
Inizia la stagione dei premi. Le nomination per i Golden Globe da assegnare il 6 gennaio sono un buon termometro per misurare quanto è alta le febbre per “The Irishman” di Martin Scorsese. Il film più chiacchierato negli ultimi anni, annunciato e disannunciato invocando difficoltà nel ringiovanimento degli attori (per invecchiarli è più facile: mastice, parrucche rade, trucco pesante). Il termometro serve anche misurare le nostre future sofferenze, non avendo troppo amato “il film di mafia che seppellirà tutti i film di mafia” (non è una battuta, considerato che il killer irlandese Robert De Niro parla dall’ospizio: l’abbiamo presa pari pari dalla recensione di un critico entusiasta).
A giudicare dalle nomination ai Golden Globe, “The Irishman” non è il film solo al comando. Ha cinque candidature, come “C’era una volta a Hollywood” di Quentin Tarantino. Una in meno rispetto a “Storia di un matrimonio”, l’ultimo film di Noah Baumbach con Scarlett Johansson e Adam Driver. Entrambi gli attori sono candidati come protagonisti, categoria dramma.
Per quel sovrappiù di bizzarria che le classificazioni portano con sé – Jorge Luis Borges faceva un bell’elenco ragionato, e alla fine calava l’asso: “Gli animali che piacciono all’imperatore” – Leonardo DiCaprio viene considerato dalla stampa estera a Los Angeles attore protagonista, e Brad Pitt invece attore non protagonista (altro dettaglio curioso: il film gareggia con le commedie e i musical). Robert De Niro non viene considerato per niente, le candidature vanno a Joe Pesci (il più bravo) e Al Pacino, al netto dello sguardo fisso. Il motivo – pare – sta in una vecchia ruggine con l’associazione della stampa estera: usò la parola “deportazione” e disse che non erano interessati al cinema ma solo ai selfie con i divi (i nervi li perdono anche gli attori, e man mano che gli anni passano tornano un po’ bambini).
Quattro candidature per “Joker” di Todd Phillips, Leone d’oro alla Mostra di Venezia. Il vincitore di Cannes – “Parasite” di Bong John-ho – gareggia tra i film stranieri e ha spuntato la nomination in altre due categorie senza nazionalità: miglior regista e migliore sceneggiatura. “Il traditore” di Marco Bellocchio non è entrato nella cinquina che oltre all’imperdibile film coreano sui servi e sui padroni ha selezionato due altri ottimi titoli. Il primo viene dalla Cina, dopo un passaggio in anteprima alla Festa di Roma: lo ha diretto la regista Lulu Wang e si intitola “The Farewell” (nelle sale italiane il 24 dicembre, con il titolo d’appoggio “Una bugia buona”). L’altro viene dalla Francia, si intitola “Les Misérables” (nelle sale dal 20 febbraio). Lo ha diretto Ladj Ly – un nome da tenere a mente – ed è un grintoso e non lagnoso film di banlieue. A Montefermeil, dove Victor Hugo ambienta qualche scena dei “Miserabili” con Jean Valjean.
Siccome delle quote non ci libereremo tanto facilmente, il New York Times considera colpa grave non aver candidato tra i registi Greta Gerwig (era già stata snobbata con il suo primo film “Lady Bird”, la nuova versione di “Piccole donne” sarebbe stato un perfetto risarcimento). La prossima Bond girl Ana de Armas è candidata per il suo ruolo da infermiera in “Cena con delitto”, accanto a Daniel Craig che fa l’accento del sud. Per dire quanto siamo alla periferia dell’impero, nella versione doppiata dell’attore restano solo le smorfie. Potrebbe vincere Roman Griffin Davis, il ragazzino on “Jojo Rabbit” dell’ebreo maori Taika Waititi. Si prevedono polemiche, ha Adolf Hitler come amico immaginario.