La nuova vita del re Zalone
Il primo film da regista, le critiche e i successi. E poi: “Il Foglio è fondamentale”
Il nuovo film e due chiacchiere con Checco Zalone. Pubblichiamo un'anticipazione dell'articolo di Andrea Minuz che verrà pubblicato sul Foglio in edicola sabato 28 e domenica 29 dicembre (potete leggerla qui a partire dalle 23.30 di questa sera).
Da Fazio Benigni ha detto che non esiste niente di più italiano di Pinocchio. Dissentiamo. Non esiste niente di più italiano di Checco Zalone. L’italiano che da dieci anni mette in scena al cinema: indistruttibile, inossidabile, ferocemente incosciente, straordinariamente impermeabile a qualsiasi rivoluzione, globalizzazione, estradizione. L’italiano di sempre, ma aggiornato alle figure di questi tempi: il cantante neomelodico in cerca di fortuna a Milano, il rappresentante di aspirapolveri pignorato da Equitalia, il vigilante che sventa un attentato dell’Isis con una cena a base di cozze, l’impiegato pubblico aggrappato all’ultimo dei “posti fissi”, e ora il migrante economico che si sposta al contrario, dall’Italia all’Africa, in fuga dalle tasse, dai creditori e dall’ex-moglie che vuole rovinarlo. “Tolo, Tolo” è il quinto film di Zalone, il primo come regista. E' il film con cui smetteremo di parlare soltanto degli incassi stratosferici di Checco Zalone, salvatore del cinema italiano, santo patrono degli esercenti, e inizieremo finalmente anche a parlare di Luca Medici. “Tolo, Tolo” è la storia di un italiano travolto da investimenti sbagliati, per esempio aprire un Sushi “concept store” a Gravina di Puglia, ma che “non vuole smettere di sognare” e così si trasferisce in Africa, “un paese senza Irpef, senza sovraintendenze e con una corruzione finalmente onesta”. Già in questo rovesciamento c’è tutto il tempismo formidabile che solo una commedia sintonizzata sulle repentine trasformazioni del paese riesce ad avere.
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I miei modelli sono “Dino Risi e Alberto Sordi” ribadisce in conferenza stampa, “tento di procedere sulla loro strada, anche se loro ovviamente solo su un altro livello”. E come nel filone africanista post-coloniale della nostra commedia, come il Sordi di “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa” o “Finché c’è guerra c’è speranza”, come il Bud Spencer di “Piedone l’Africano” e “Io Sto con gli ippopotami” o “Totò Lawrence D’Arabia”, Checco Zalone costruisce un film folle e meraviglioso, un road-movie afro-italiano in cui ribalta lo schema, i pregiudizi, la retorica sui migranti e invecchia di colpo discorsi, sit-in, proclami, film e documentari “d’interesse culturale” sull’immigrazione.
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Checco sogna un mondo in cui un giorno “l’abile e il disabile avranno un solo bagno” ma nel film lo sogna da imprenditore, per risparmiare sui metri quadri del ristorante. Cinismo, realismo, poesia, lacrime, risate. Tutto insieme. Checco Zalone non è soltanto l’unico in grado di riportare gli italiani al cinema, almeno due volte l’anno. Con questo film diventa anche uno dei pochi registi che sa metterli davanti al più spietato, gigantesco specchio deformante dai tempi della grande commedia all’italiana di Scola, Sonego, Age e Scarpelli, Sordi, Monicelli. Rispetto alla “retorica dell’italiano medio” che ormai accompagna i suoi film (ma cosa vota poi quest’italiano medio?), rispetto ai paragoni giusti o forzati con Sordi e i maestri della commedia, Zalone è anche un musicista, un formidabile interprete e compositore di canzoni.
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Tra noi possiamo dircelo, questo film, infondo, è anche un po’ una scommessa vinta dal Foglio, il primo e per molto tempo l’unico giornale a riconoscere il talento, puro, cristallino, evidente, del Checco Zalone cinematografico. Oggi Checco ricambia e ci regala un endorsement contro le minacce di chiusura. “Per carità, Il Foglio è fondamentale, io sono un fan delle recensioni di Mariarosa Mancuso; e poi è un giornale comodo, lo prendo sempre quando sono in giro, per esempio quando vado in aereo, Il Foglio ti fa sentire intelligente e colto ma con poche pagine, leggere, senza tutti quegli allegati che ti rifilano ormai coi quotidiani”. Lo diceva anche Pietro Valsecchi nel 2016: “Voi siete stati i primi a riflettere sul fatto che Checco Zalone metteva in crisi gli intellettuali di sinistra. E adesso anche loro si sono arresi alla sorpresa di una comicità che coglie un’Italia sospesa tra gli anni 50 e il 2020, ma senza fare della sociologia, della teologia, unendo tutti gli italiani”.
Politicamente corretto e panettone