1917
La recensione del film di Sam Mendes, con George MacKay, Dean-Charles Chapman, Mark Strong, Andrew Scott
Un paio di ossessioni ricorrono nella storia del cinema. Prima: il film girato in soggettiva. La macchina da presa sta ad altezza occhi del protagonista, come certe telecamere da “indossare”, prima di buttarsi giù per i pendii o guidare in Formula 1. Altri usi sensati in realtà non ce ne sono, nel cinema di finzione il risultato è più strano che coinvolgente. Seconda: il piano sequenza che segue il protagonista dall’inizio alla fine del film, in tempo reale. Ci aveva provato Alfred Hitchcock in “Nodo alla gola”, puntando l’obiettivo su una giacca o una parete alla fine di ogni rullo, per camuffare il cambio di pellicola. Lo ha fatto Alejandro González Iñárritu in “Birdman”. E Alexandr Sokurov in “L’arca russa”: a lui il record della genuina e unica ripresa, con una messa in scena complicatissima, anche di orchestre e balli dentro l’Ermitage (qualcuno contesta il primato, ma certamente usa meno trucchi dei rivali).
Anche il piano sequenza di “1917” è posticcio, ma per quanti sforzi faccia l’attento spettatore è difficile cogliere le giunte. Racconta una missione impossibile durante la Prima Guerra mondiale, ispirata dal racconto di nonno Alfred H. Mendes: si offrì volontario per consegnare un dispaccio e ritornò “senza un graffio, ma con esperienze da far rizzare i capelli” (il futuro regista ascoltò la storia a 11 anni). Due giovani soldati lasciano la trincea con un messaggio importantissimo: 1.600 commilitoni di un settore distaccato stanno per cadere in una trappola: i tedeschi hanno fatto finta di ritirarsi, in realtà sono pronti ad attaccare.
Il viaggio di Schofield e Blake (che ha un fratello tra i soldati in pericolo) è periglioso, cruento, pieno di insidie e dovrebbe essere angosciante. Dopo il bellissimo “007 - Skyfall”, il regista lanciato nel 1999 da “American Beauty” ha per modelli “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg e “Dunkirk” di Christopher Nolan. Gira – e organizza le comparse – magnificamente, in due chilometri di trincea ricostruita. Ne esce un esercizio di stile, con qualche momento visionario. E un assoluto disprezzo per le regole del genere: se mostri un attimo di umana pietà, il nemico ti ammazza.
Politicamente corretto e panettone