Film ad altissimo rischio in gara alla Berlinale
In "Volevo nascondermi", biopic sul pittore Ligabue, c'è il matto, il ragazzino maltrattato, il grande artista. Mentre il festival si interroga sul passato nazista del suo primo direttore
La Berlinale numero 70 sarà ricordata – si spera non soltanto, molti sono ancora i film da vedere – per le rivelazioni sul passato nazista di Alfred Bauer, direttore del festival dalla sua fondazione (nel 1951, il Muro non era ancora stato costruito) al 1976. Prima mossa, quando la notizia è circolata: ribattezzare con effetto immediato il premio Alfred Bauer destinato ai film che “aprono nuove strade nell’arte cinematografica”. Sarà un Orso d’argento come gli altri, almeno di questo siamo contenti. Il cinema alla sua nascita era già piuttosto ben congegnato, e il successo di “Parasite” (scusate l’insistenza, ma alcuni commenti in materia sono patetici) sta nel fatto che è un film vecchio modello, con una storia che funziona. Secondo (sempre per il caso Alfred Bauer): è stata commissionata un’indagine all’Istituto di Storia contemporanea, che farà luce sul personaggio.
Giorgio Diritti arriva subito in zona premi con “Volevo nascondermi”, biopic sul pittore Ligabue. Film ad altissimo rischio: c’è l’artista, c’è il matto, c’è il ragazzino maltrattato, c’è la malattia (e un paio d’altri colpi del destino crudele, tranne la morte da imbrattatele sconosciuto: prima di morire fece un paio di mostre personali). Con un attore ad altissimo rischio: Elio Germano era già stato Giacomo Leopardi nel film di Mario Martone “Il giovane favoloso”, e il risultato non era stato brillantissimo. Lo ricordiamo ingobbito e nulla più. Qui – i registi per gli attori possono essere la salvezza o la disgrazia – viene abbastanza tenuto a freno (ancora un po' e si sarebbe davvero confuso con il personaggio).
Sul mondo contadino di Gualtieri, Giorgio Diritti mette a frutto l’esperienza del suo primo film “Il vento fa il suo giro”, ambientato in Valle Maira, provincia di Cuneo. Niente retorica, la vita è dura e i buoni sentimenti esistono solo nella mente di chi non ha mai zappato la terra né dato il pastone alle galline (in prima fila Adriano Celentano e i fan della decrescita felice). Non sbaglia una faccia, e neanche uno scorcio, con nebbia o senza. La cronologia c’è e non c’è – viene comunque risparmiato allo spettatore il consunto flashback dal letto di morte – e ogni scena è inquadrata e illuminata come il cinema dovrebbe fare.
“Onward” – ultimo film targato Pixar, nelle sale italiane dal 5 marzo – esce dopo che la premiata ditta ha deciso “niente più seguiti” (con “Toy Story” eravamo a quattro, non si poteva proseguire verso l’infinito e oltre). Racconta due fratelli elfi, che in un mondo popolato da centauri poliziotti e da fatine motocicliste cercano con una bacchetta magica di fare rivivere il padre. Ci riescono solo a metà, e non è un modo di dire. Dalla cintola in giù. Per la parte di sopra, lo rimpannucciano come “L’uomo invisibile”. Piacerà soprattutto alla generazione cresciuta con Harry Potter.