Alternativa al cinema
Preparandoci a rinunciare a Cannes, abbiamo sperimentato lo streaming della Fondazione cineteca italiana
Dovremo rinunciare anche al Festival di Cannes. Non è ancora ufficiale – la direzione rimanda tutto alla conferenza stampa del 16 aprile. Le indiscrezioni sul sito del Point, e ancor più il discorso alla nazione di Emmanuel Macron, lasciano poche speranze. Prima del coronavirus, a far chiudere il festival era riuscito soltanto il ’68, quando il maggio sbarcò sulla Croisette. Capitanavano le proteste François Truffaut e Jean-Luc Godard – che disse, a futura memoria: “Io vi parlo di solidarietà agli studenti e agli operai, e voi mi parlate di carrelli e primi piani! Stronzi!”. Alain Resnais e Milos Forman ritirarono i film dal concorso, Monica Vitti e Roman Polanski (che poi disse “sono stato costretto”) si dimisero dalla giuria. Con il senno di poi, inaugurare il festival con un classico hollywoodiano come “Via col vento”, sia pure proiettato fuori concorso, fu una mossa incauta.
A meno che il Festival di Cannes non decida di organizzarsi con lo streaming, rinunciando alla mondanità. I giornalisti restano ognuno a casa propria, con un codice segretissimo per accedere ai film, stesso giorno stessa ora. Sì, ci sono gli hacker, e ormai i blockbuster vengono mandati ai doppiatori in versione antipirateria, in evidenza solo le bocche per far combaciare il labiale (si mandavano, Hollywood calcola che il coronavirus sarà una botta da 20 miliardi). Ma c’è abbastanza tempo per attrezzarsi.
Nello spirito “un fogliante prova le cose” lanciato dal Foglio Innovazione, abbiamo sperimentato lo streaming della Fondazione cineteca italiana. Facile registrarsi e facile accedere al catalogo. Non solo film, in gran parte sono cortometraggi risalenti a quando il cinema era nuovo, e quindi il solo fatto di veder muovere qualcosa sullo schermo incantava. Scartate le “Esercitazioni di cavalleria di Casa Savoia” e “Matterhorn: il treno spazzaneve sul Cervino”, le durate aumentano e pure l’interesse.
Quattro minuti dura lo spot pubblicitario a colori – il primo fabbricato per il cinema, nel 1949 – dai pionieri dell’animazione italiana Nino e Tony Pagot. Prodotto: Sartisoda (sta al Biancosarti come il Campari Soda sta al Campari). Storia: incontro, fidanzamento e sposalizio da cui nasce un fantolino, portato dalla cicogna tutto bello fasciato, che poi si trasforma nella panciuta bottiglietta. Dura 14 minuti l’episodio firmato da Alberto Lattuada per il film “L’amore in città” (bianco e nero, anno 1953). Titolo: “Gli italiani si voltano”. Sottinteso, al passaggio delle belle ragazze. Alcune, va detto, con una circonferenza petto impressionante, aggravata da robusti reggiseni a punta. La bella che esce in pantaloni viene seguita su per la scalinata da Marco Ferreri, allora venticinquenne.
Presa confidenza con il bianco e nero, arrivano i film. Scartati i muti – saranno per la prossima volta – c’è il musical “Donne indiavolate” (1945). La direttrice dell’orchestrina “Betty Miller and her Sirens” è a caccia di una buona scrittura e di un uomo affascinante. In mancanza, uno con centomila dollari di patrimonio.
Effetto nostalgia