Autarchia, a noi!
La Rai imperturbabile programma la seconda serie di “I topi” di Albanese. Ci portiamo avanti col made in Italy
Il tempismo lascia a desiderare. Siamo chiusi in casa da settimane, cominciamo a confondere l’aperitivo con la colazione. Così scrive Libération, seguono consigli per scandire la giornata, prendendo a modello l’ereditiero Will Freeman nel romanzo “Un ragazzo” di Nick Hornby: suo padre aveva scritto una canzoncina natalizia di successo, lui viveva di rendita, per occupare il tempo divideva la giornata in intervalli di mezz’ora. Una, per esempio, era dedicata a montare un seggiolino per bambini nella macchina, da cospargere con briciole di biscotti. Serviva per fingersi separato e rimorchiare le mamme al parco.
Il tempismo lascia a desiderare. Siamo chiusi in casa da settimane, e la Rai imperturbabile programma la seconda stagione di “I topi”, la serie “one man show” di Antonio Albanese, che scrive dirige e recita.
Da ieri in streaming su RaiPlay, dal 18 aprile su Rai 3: strategia di posizionamento “alta & moderna” già sperimentata. Anche prima di “Viva RaiPlay”, il supertraino firmato Fiorello. Sono mafiosi che nella prima stagione vivevano in uno scantinato-bunker, si spostavano via cunicoli, usavano parole d’ordine demenziali – “al solito momento, vicino alla salita, in fondo alla discesa” – e bussavano alle porte con concertini di nocche per farsi riconoscere. Prima che scatti l’invito a consumare prodotti italiani, onde sostenere l’industria dello spettacolo indigena, ci stiamo attrezzando per la bisogna. Nessuno potrà accusarci di non aver fatto un tentativo. Nella seconda stagione i mafiosi cambiano nascondiglio. Cunicolo dopo cunicolo, e dopo una serie di tombini sbagliati – una chiesa, una strada senza traffico come quelle che oggi vengono fotografate, già nell’archivio delle immagini da riproporre a dicembre, nel riepilogo sul trascorso 2020, assieme al Papa in cinemascope – sbucano in un appartamento che dovrebbe esser vuoto. Sebastiano e zio Vincenzo si sistemano tra parrucche e lustrini. E quasi subito scoprono che il misterioso Liborio, titolare dell’appartamento, è un ballerino transgender (sono arrivati anche sulla Rai, non c’è serie che possa dirsi moderna senza di loro: e noi siamo ancora qui a contare le presenze femminili).
La vita da topo latitante di Sebastiano (Antonio Albanese, meglio qui che nel malriuscito film neoborbonico “Cetto c’è, senzadubbiamente”) in compagnia di Zio Vincenzo che eternamente ascolta le previsioni del traffico alla radio non varia granché. Probabile che non risulterà più appassionante quando potremo uscire di casa e andare a spasso. Viene movimentata un pochino con il mondo di sopra: la consorte di Sebastiano, i figli, la suocera che ha come tormentone la parola “menopausa” (suvvia, si poteva far meglio, davvero non è venuta in mente un’idea migliore?).
L’autarchia non è ancora stata dichiarata, a fronte di una crisi che già si sta facendo sentire. Noi ci siamo portati avanti, sperimentando un prodotto made in Italy come “I topi”. Ma spesso – tra tante gag prevedibili e garbate, a parte il tormentone “menopausa” – era forte la tentazione di cambiare streaming.
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