Vi ho perculati ancora
Sacha Baron Cohen s’è infilato con sprezzo del pericolo tra i “nemici” alt-right. Lo scherzo è bello se è scorretto
L’ha rifatto. È andato a cacciarsi con sprezzo del pericolo tra i nemici – un gruppo di estrema destra che nello stato di Washington rivendicava il diritto di non rispettare distanziamenti e mascherine anti Covid. Ha cantato una canzoncina country, chiedendo ai presenti di accompagnarlo con un coro. Non c’era tanta gente (“meno che al comizio di Trump a Tulsa” dicono i maligni). Ma l’invito ha funzionato, il ritornello era facile da imparare. Finché uno meno tonto degli altri ha postato il video su Facebook: “Holy shit! Ci siamo cascati”. Poco dopo Variety ha confermato la notizia, suggerendo che forse si trattava di una beffa in vista della seconda stagione del programma “Who is America?”, andato in onda due anni fa su Showtime.
Sacha Baron Cohen era camuffato con una camicia rossa a scacchi sotto la salopette blu, in testa un cappello di paglia. Il motivetto diceva: “Cosa faremo con Obama? Lo contagiamo con l’influenza di Wuhan. E cosa faremo con chi porta la mascherina? Gli tagliamo la testa come fanno gli arabi”. E via con la lista dei nemici: Hillary Clinton, Anthony Fauci (“non sa distinguere la faccia dal culo, troppe canne”), i giornalisti, l’Organizzazione mondiale della sanità. Il coronavirus non esiste, è uno sporco trucco architettato dai liberal nemici di Donald Trump.
A corroborare l’ipotesi “nuovo programma tv”, il dispiegamento di forze necessario per la beffa. Il misterioso cantante country, accompagnato dalla band, è arrivato attraverso un sedicente Political Action Committee: generosa donazione alla causa, cantante e musicisti per rallegrare la manifestazione. C’erano le guardie di sicurezza, per evitare i rischi che Sacha Baron Cohen sempre corre: essere preso a randellate, se non linciato o sparato. È gente che tiene armi in casa, e fuori casa le usa volentieri.
Qualche anno fa l’attore se l’era vista brutta durante un rodeo, nei panni di Borat – nel film “Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan”. Calzoni di quel grigio che prende solo sul tessuto sintetico, rallegrati da una camicia a stelle e strisce con cappello da cowboy, storpiava l’inno americano. Strofa dopo strofa, il pubblico di bifolchi che si era divertito ai proclami di patriottica amicizia – “possano i terroristi essere sterminati” – si fa minaccioso. Nella voce dell’attore si avverte un po’ di tremarella.
Nessuno si era ribellato alla canzoncina, sempre intonata dal tremendo Borat: “Butta l’ebreo nel pozzo / Così la mia nazione sarà libera / Lo devi prendere per le corna / Poi faremo una gran festa” (servisse ripeterlo, Sacha Baron Cohen è ebreo). Neppure al Suv comprato per servire da “magnet pussy”, calamita per femmine: la traduciamo con garbo, la suscettibilità ha fatto passi da gigante, dal 2006 a oggi. Forse ha voluto tastare il terreno. Ormai la satira è un campo minato, nessun comico fa più monologhi davanti agli universitari, che pur dovrebbero avere una certa apertura mentale. Sbagliato, hanno l’offesa facile.
Prima la destra, e poi i bersagli più difficili, rischiosi, vicini a noi. Lo scherzo più bello (finora) Sacha Baron Cohen lo architettò quando gli diedero il premio Chaplin per la commedia. Sul palco, una vecchia signora in carrozzella – dissero: l’ultima attrice ancora viva di “Luci della ribalta” – gli regalò il vero bastone di Charlot. Sacha Baron Cohen prese il bastone, camminò con i piedi a papera, si appoggiò alla sedia a rotelle. Scaraventando la poveretta giù dal palco. C’è bisogno di dire che era una complice?