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I film dell'orrore inclusivi sono un rompicapo
Da “She Dies Tomorrow” a “Amulet”, tre pellicole pandemiche prima della pandemia
“Nello spazio nessuno può sentirti urlare”. Era il pauroso slogan del primo “Alien” di Ridley Scott, 41 anni fa. Suggerito – vuole una leggenda, dalla moglie del disegnatore che decise per l’orribile uovo gialloverde (su Ebay vendono il manifesto originale a 130 euro, pure un po’ ciancicato: chi poteva immaginare che sarebbe diventato un cimelio da collezione). L’urlo nei film dell’orrore vuol dire speranza, speri che qualcuno lo senta e venga a salvarti – se sei tra i pochi personaggi che se la cavano, e sembra di capire che con le ultime rivolte le gerarchie cambieranno. I neri morivano quasi subito: adesso non si potrà più, vogliamo continuare con l’orrenda discriminazione? E chissà in quale posto nella lista dei morituri accetteranno di stare i trans, senza fare gli offesi. I film dell’orrore inclusivi diventano un rompicapo.
“The horror of isolation” è il titolo di un articolo uscito qualche giorno fa, che sul New York Times si interrogava invece sull’isolamento causato dal Covid. Da sempre, e peggio da quando hanno inventato i telefoni cellulari, gli sceneggiatori hanno la preoccupazione di isolare le vittime (meglio se fanciulle, ma forse anche questo cambierà, mettiamoci i maschi in prima fila contro il maniaco, che corrano loro in mutande in cerca di chiunque possa dare una mano). Ora è tutto più facile.
Tre sono i film in uscita (beati loro, gli Stati Uniti non stanno tanto a posto dal punto di vista sanitario, ma per loro è altissima stagione, quindi hanno da scegliere). Tutti e tre girati prima del coronavirus. Tutti e tre girati da donne. Mettiamo da parte i pensieri maligni – riguardano anche le otto registe in concorso alla Mostra di Venezia, improvvisamente la strada che era in salita ora è in discesa?, magari sono i maschi dotati di maggior potere contrattuale a lasciare liberi i posti scomodi.
Scritto diretto e prodotto da Amy Seimetz, “She Dies Tomorrow” è uscito ieri negli Usa. Racconta un contagio, con tanto di premonizione: una donna sogna che morirà il giorno dopo, infettata tra la folla in un luogo chiuso. Stare sola, senza vedere nessuno, pare l’unico rimedio. Ma non funziona mai, negli horror, c’è sempre un dettaglio trascurato: chiudi a tripla mandata la porta e il maniaco entra dalla finestrina del bagno, figuriamoci un contagio.
“Amulet” – aiuto! – inizia su un pipistrello che sbuca all’improvviso in un bagno. Lo ha scritto e diretto l’attrice Romola Garai, che sarà la figlia di Karl Marx in “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli. Puntuale, come in tanti film britannici “c’è qualcosa di orribile nella soffitta”. E’ uscito la settimana scorsa, le recensioni non sono niente male. “Relic” di Natalie Erika James esce il 3 luglio. La vecchia signora non sta più tanto bene, ma in casa di riposo non vuole proprio andare. E ha un motivo più dei soliti.
Politicamente corretto e panettone