La notte dei bambini a Venezia
Le storie, i disegni e la paura dei piccoli prigionieri dell'Isis. Tre anni sui confini di Iraq, Siria, Kurdistan e Libano nel documentario di Gianfranco Rosi
Una bambina di pochi anni, forse cinque, racconta alla maestra che la notte ha ancora troppa paura e che riesce ad addormentarsi solo dopo che si è addormentata sua madre. E’ stata prigioniera dell’Isis, come tutti i suoi compagni di classe, e nei loro disegni ci sono le lacrime delle donne, il sangue di chi è morto, e un ritratto colorato con la matita nera di Al Baghdadi che, racconta un bambino che adesso balbetta, spiegava agli altri come uccidere gli yazidi. Ci sono anche le donne, con grosse lacrime azzurre che rotolano sulla faccia. “Le donne le picchiavano e poi le impiccavano, una ha provato a suicidarsi buttandosi da un palazzo ma non è morta”, dice il bambino con semplicità. “Agli yazidi tagliavano la testa, gli tagliavano la testa e poi dicevano a noi bambini: e adesso mangiatela”. E nel disegno ci sono anche le teste, e c’è il sangue, e ci sono quelli dell’Isis con le barbe e dei coltelli in mano, dei fucili, delle bandiere, la faccia feroce. Non sono favole, è quello che hanno visto, sono le botte che hanno preso. “Ci svegliavano la mattina presto e ci picchiavano”. Perché vi picchiavano? “Così, senza un motivo”. “Ci ustionavano le piante dei piedi”.
I bambini disegnano, tutta la parete della classe è adesso piena di disegni dell’orrore, i bambini raccontano, parlano, ne hanno bisogno: sono i sopravvissuti, quelli che stanno ricominciando a vivere e a cui la maestra chiede: ti ricordi ancora quelle cose, ci pensi? Tutti rispondono semplicemente: sì, ci penso. Sorridono: sì, ci penso spesso, è stato molto brutto. Lo dicono come se fosse normale: i bambini vengono svegliati per prendere le botte, e gli dicono: se piangi ti uccido, e adesso senti quello che fa il fuoco ai tuoi piedi. Ora hanno i pantaloni colorati e le matite colorate per disegnare, ma usano sempre il nero.
Nel documentario di Gianfranco Rosi, “Notturno”, presentato ieri al Festival di Venezia e da oggi in tutti i cinema, girato per tre anni sui confini di Iraq, Siria, Kurdistan, Libano, i bambini hanno visto tutto. Noi li guardiamo al cinema seduti distanziati, cerchiamo di pensare anche, in qualche punto remoto del cervello, se questo è un film, e se è un bel film, ma i bambini non sono un film. Sono la verità. Il rosso viene usato per disegnare il sangue, e per i coltelli, l’azzurro per le lacrime, il nero per tutto il resto. Le tuniche, le case, le barbe, le armi, le donne impiccate, gli occhi cattivi. Ci sono alcune facce colorate di rosa: sono i bambini prigionieri in fila, che se piangono li uccidono. Se scappano scavalcando il recinto, li picchiano e li uccidono. Un bambino racconta che ha provato a scappare, “ma mi hanno preso”. L’hanno preso, adesso è vivo, con i vestiti puliti, e sembra davvero un bambino, e noi che guardiamo proviamo ad auto ingannarci: sono bambini, ce la faranno. Sono bambini, è passata, è un film. Non è un film.
E c’è una madre di notte che piange mentre riascolta tutta la fila dei messaggi vocali che sua figlia, dalla voce sembra una ragazza, le ha mandato di nascosto da un campo dell’Isis: mamma rispondi appena ricevi il messaggio, ma non scrivere mai tu per prima. Mamma perdonami ma sono molto spaventata, non dire al tizio dell’Isis che sei in contatto con me, sennò mi ucciderà, mi ucciderà. Mamma non piangere, purifica il tuo cuore, se muori come ci rivedremo? Mamma, agli altri hanno preso tutti i figli, a noi è andata bene, ci hanno presi solo in pochi di noi. Mamma, hanno detto che se siete disposti a comprarmi, loro mi vendono. Potete mandare 500 dollari? Ne basteranno 400, mamma per favore mandate i soldi. Adesso ci spostano, non so dove ci portano, cancella tutti i messaggi. Mamma sono in Siria, devo parlare piano, ho paura che mi scoprano, se mi scoprono mi uccidono.
Mamma non piangere, purifica il tuo cuore.