1943: John Clements e Judy Kelley in una scena di 'Tomorrow We Live' (Foto di Hulton Archive / Getty Images)  

Popcorn

Ai tempi di Covid, al cinema solo "sesso represso e sottotitoli"

Mariarosa Mancuso

Film dove passa un gregge sullo schermo, poi ripassa, e sarà l’unico colpo di scena. Abbiamo tempo di meditare sui nostri peccati di spettatori in cerca di allegria

Niente James Bond, niente Wonder Woman, niente “West Side Story” riveduto e corretto da Steven Spielberg. Sono come il canarino nella miniera (libera variazione, il sacrificabile uccellino avvertiva i minatori del pericolo). Quando usciranno al cinema l’emergenza sarà finita. Nel frattempo, scrive Dominic Maxwell sul Times (per inciso: un quotidiano straniero, quindi una pagina è dedicata al virus, o all’eventuale confinamento quando viene deciso senza far circolare bozze per vedere l’effetto che fa; tutte le altre continuano a guadagnarsi onestamente il prezzo dell’abbonamento) al cinema vedremo soltanto “sesso represso e sottotitoli”. La fulminante descrizione inchioda alle loro responsabilità i film arthouse, gli unici che in Gran Bretagna ancora circolavano lo scorso 23 ottobre. Film a basso budget, senza colpi di scena o trame appassionanti. E’ il loro momento, continua il cronista, che confessa di aver perso la testa per “Bait” di Mark Jenkin: un film in bianco e nero su un pescatore della Cornovaglia ridotto in miseria dalla prospera industria turistica (era prima di quel che sapete, tra un po’ ricominceremo tutti a pescare sardine).

 

Sull’onda dell’entusiasmo, propone un quiz per misurare la temperatura cinefila, nel senso dei film che strapazzano lo spettatore. Alla domanda “personaggio preferito”, le risposte variano da “Una spia capace di disattivare un ordigno nucleare con una mano mentre con l’altra sgancia il reggiseno a una bionda” a “Un giornalista dai vestiti stropicciati. Ma ben presto il brutto anatroccolo si trasforma in un cigno investigatore”. Il cinefilo naturalmente sceglie la c): “Un contadino curdo che coltiva orzo, sembra felice ma sta morendo dentro, il raccolto sarà scarsissimo”. E quando si capisce che un film è arrivato alla fine? Quando l’eroe e l’eroina partono per lo spazio? Quando l’eroe e l’eroina passeggiano nella “maledetta navata” al suono della marcia nuziale? Risposta del cinefilo: “Quando l’eroe rivela alla Stasi l’indirizzo dell’eroina”.

  

E i sottotitoli? Sono comodi quando il cattivo venuto dall’est dà gli ordini ai suoi scagnozzi, rispondono gli spettatori avventurosi. Sono divertenti quando Colin Firth cerca di parlare portoghese con la sua amata, senza sapere la lingua, rispondono gli spettatori romantici. “Roba da imbranati”, risponde il cinefilo: se non sai lo svedese non puoi capire Bergman. Esagerato? Mica tanto, stando in coda ai festival (mai avremmo pensato di rimpiangerle) frasi così si ascoltano con una certa frequenza.

  

A proposito di film dove passa un gregge sullo schermo, poi ripassa, e sarà l’unico colpo di scena. Passa una motocicletta, dopo un bel po’ ripassa nell’altra direzione, e prima che spunti un umano (di poche parole, tanto che si dicono nel deserto?) abbiamo tempo di meditare sui nostri peccati di spettatori in cerca di allegria.

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