Nessun mondo parallelo, né piccini verdi con le orecchie sperduti per la galassia, “Ethos” parla di faccende quotidiane. Di un paese diviso, fra imam e secolarismo
Miracoli che solo la scrittura può fare. La serie turca “Ethos” (su Netflix, titolo originale “Bir Başkadır”, reso nella versione internazionale come “A Different One”) racconta faccende quotidiane. Attorno a una ragazza – Meryem – che facendo le pulizie in casa di un ricco giovanotto ha uno svenimento. Ne ha già avuti, durante un matrimonio e altre occasioni. Gli esami medici non rivelano nulla, e dunque la mandano dalla psichiatra. Di nascosto dall’imam, che in questo caso non può impicciarsi, spiegando la differenza tra la vita vera e “quel che racconta la televisione” con un tulipano di plastica e un fiore che perde i petali (i richiami alla realtà e il disprezzo per la fiction seguono desolatamente sempre le stesse argomentazioni). Miracolo della scrittura. “Ethos” non racconta mondi paralleli, né piccini verdi con le orecchie a punta da ricondurre a domicilio attraverso la galassia (dopo essere stati trovati nella galassia medesima e strappati ai cattivi di cui la galassia pullula). Non ci sono adolescenti sulla cui sorte dibattere. Neanche naufraghi in isole deserte. Nulla di nulla, solo il mondo là fuori, che nel caso della Turchia è piuttosto interessante (lo sarebbe anche l’Italia, se qualche sceneggiatore di buona volontà si desse la pena di spulciare – a scelta – i social o le pagine di cronaca dei giornali, o la tv che ti porta il mondo in casa).
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