Il cattivo poeta
di Gianluca Jodice, con Sergio Castellitto, Tommaso Ragno, Fausto Russo Alesi, Clotilde Courau
Ritratto dell’artista da settantenne brontolone, mangiasoldi, lamentoso e assatanato (per quel che l’età concede). Gabriele D’Annunzio se ne sta rintanato al Vittoriale, chiedendo denaro a Benito Mussolini per costruire l’anfiteatro da aggiungersi alla villa e agli altri edifici in memoria della “vita inimitabile” di sé medesimo (nonché delle eroiche imprese compiute dall’esercito italiano durante la prima guerra mondiale). L’anfiteatro è il suo secondo cruccio, al punto primo stanno le rimostranze, indirizzate idealmente all’Italia tutta, dal dittatore in giù: lo hanno tradito e dimenticato. Lui che aveva inventato perfino la parola “scudetto”, oltre ad aver battezzato i grandi magazzini “La Rinascente” e scelto lo pseudonimo per la scrittrice Liala (che pare ancora abbia le sue estimatrici, così va l’Italia).
I gerarchi fascisti lo considerano un dente guasto: “O lo si ricopre d’oro o lo si estirpa”, e riempiono il villone sul lago di Garda con spie e sorveglianti che prima o poi dimostrano una qualche intelligenza con il poeta: l’attore è Sergio Castellitto, più quieto del solito. Vorrebbe Mussolini in visita al Vittoriale, ma il Benito nazionale è troppo occupato a stringere alleanza con la Germania del “ridicolo Nibelungo”. Sembra informato però dei particolari piccanti che escono dai rapporti. Al momento vivono con il vecchio malfermo sulle gambe – ma quasi sempre in alta uniforme, con i guanti bianchi, anche quando dà del “topo” al critico che avanza qualche riserva – Luisa Baccara, una francese di nome Amélie, più la cameriera altoatesina che sembra al momento la preferita da spogliare e palpare (niente crociate, le molestie erano comprese nello stipendio). Malinconico, buio, e piuttosto lento.
Effetto nostalgia
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