Quattromila film e 17 mila ore di tv. Questo si è comprato Jeff con la MGM
Il patron di Amazon aveva bisogno di “prodotto” e così si è assicurato la Metro Goldwyn Mayer, che annovera tra le sue file Rocky, 007 e Hannibal Lecter
Otto miliardi e mezzo di dollari. Il 40 per cento in più di quel che avevano offerto i concorrenti come Apple e Comcast (già saldamente in possesso della Nbc Universal, delle cinque major hollywoodiane quella con il mappamondo nel logo). Come mai Jeff Bezos ha pagato l’esorbitante cifra per comprare la MGM (delle suddette major, quella con il leone ruggente)? Se lo chiede il New York Times, e subito risponde: “Perché se lo può permettere, dall’alto della sua liquidità stimata sui settanta miliardi”. Nel settore, va detto, non ci sono – né ci saranno – tante altre premiate e valorose ditte da comprare, dopo che la Disney ha cominciato l’escalation aggiudicandosi per una sessantina di miliardi la 20th Century Fox (delle cinque major, quella con il secolo nel logo, e i fari che illuminano la scritta – ora è la 21th Century, la Fox eliminata per non confondersi con l’informazione Fox rimasta a Rupert Murdoch).
“Più stelle che in cielo”, prometteva la Metro Goldwyn Mayer al massimo del suo splendore, che cominciò ad appannarsi verso la fine degli anni 60. Da allora è stata venduta e comprata un certo numero di volte, intera o a pezzi – una parte dei titoli storici è servita per fare cassa nei momenti di difficoltà, assieme alle scarpette rosse di Dorothy nel “Mago di Oz”. La Sony ha rilevato gli studi di produzione (il terreno, s’intende). La Warner Bros possiede “Via col vento” e “Cantando sotto la pioggia”. Un tentativo di rilancio – si fa per dire – ha aggiunto una catena di lussuosi alberghi e casinò. Nel 2011, è stata messa in amministrazione controllata. E’ comunque riuscita a compiere 97 anni, cavalcando un secolo sicuramente diverso da quello che Louis B. Mayer – nato Lazar Meir nel 1884, quando in Russia c’era lo zar – poteva immaginare (il socio Goldwyn era nato Samuel Gelbfisz in Polonia).
A dispetto dei guai, la MGM poteva ancora contare su un patrimonio di 4.000 film e 17.000 mila ore di televisione. Questo ha comprato Jeff Bezos, rimasto un po’ indietro quanto a contenuti nella guerra dello streaming che già era scoppiata, e il coronavirus ha reso più feroce. C’è bisogno di prodotto – così direbbero i distributori “fisici”. Film, serie, e altri programmi capaci di giustificare il prezzo dell’abbonamento mensile (una volta era solo Netflix a contendersi la nostra attenzione e il nostro obolo). Amazon aveva già investito un miliardo nella serie tratta da “Il signore degli anelli”, con la speranza di farne un altro “Game of Thrones” (difficile). Con molto meno avevano Woody Allen, prima di rompere – con una certa codardia – il contratto.
E’ semplice, ha spiegato Jeff Bezos agli azionisti (prima di annunciare che dopo 25 anni passerà la mano): “Il catalogo MGM è ricco, ben conosciuto e molto amato”. Ma la posta in gioco è soprattutto la proprietà intellettuale di personaggi inesauribili – ad esempio James Bond, per metà è ancora saldamente in mano a Barbara Broccoli, erede del primo produttore di 007 Albert Broccoli: in materia non si muove foglia senza che lei non voglia. Oppure “Thelma & Louise”, che non hanno nessuno a difenderle: con gli standard di oggi, due ragazze così avrebbe almeno una serie tutta loro (smussati un po’ di angoli, ovvio, siamo tutti ormai a tendenza mammoletta, e di certo non ci sarebbe Brad Pitt per sedurre la casalinga disperata e fuggire con i risparmi). E poi c’è Rocky. La Pantera Rosa. Hannibal Lecter. Neanche a farlo apposta, la MGM si era appena rifatta il leone. La criniera e il ruggito non erano più all’altezza delle moderne tecnologie, quanto a immagine e sonoro. Il ruggito, comunque, era doppiato fin dall’inizio, pare da una tigre. Il cinema si fa così.
Effetto nostalgia