nuovo cinema mancuso
Adam
La recensione del film di Maryam Touzani, con Lubna Azabal, Nissrine Erradi, Douae Belkhaouda, Aziz Hattab
L’altro ieri, durante la conferenza stampa del festival di Cannes, il direttore Thierry Frémaux ha annunciato che la sezione “Un certain regard” sarebbe tornata alle origini. Opere prime e seconde, con inclinazioni sperimentali. Nulla, insomma, di grande richiamo per lo spettatore: le opere prime e seconde quando sono strepitose vanno in concorso. Da un po’ la sezione era diventato il rifugio di registi ben conosciuti ma con film minori (ogni tanto anche ai grandi qualcosa riesce male, i raccomandatissimi vanno in concorso e i rimanenti in quest’altra sezione competitiva). “Adam” era a Cannes nel 2019, appunto nella sezione “Un certain regard”, opera prima della regista marocchina Maryam Touzani. Sperimentale non è, ma diciamo che si concede tutta la lentezza possibile, indugiando in primi piani e sguardi intensi. La trama sfiora l’inesistenza: una donna incinta di nome Samia bussa alla porta di Abla, una vedova con figlia di otto anni, a Casablanca. La padrona di casa prima la respinge, “non abbiamo bisogno di lavori domestici né di altro” (cuoce pasticcini e li vende ai passanti attraverso una vetrina). Poi la incontra di nuovo, per strada, e mossa a pietà la ospita per un po’. Non succede quasi nient’altro, a parte quel che arriva a scadenza dopo i nove mesi. Era accaduto alla regista e alla sua famiglia: a Tangeri avevano dato rifugio a una donna fuggita dal suo villaggio, che intendeva partorire e dare il neonato in adozione (nel film, ascoltiamo Samia raccontare ai suoi di un lavoro in città). Da allora però la regista ha studiato giornalismo a Londra, e dovrebbe aver imparato che un film ha bisogno di trama e ritmo. Non basta l’erotismo da impastamento che lega le due donne. Quando Abla fa i dolci con amore le vendite raddoppiano.
Politicamente corretto e panettone