The Shift
La recensione del film di Alessandro Tonda, con Clotilde Hesme. Adamo Dionisi, Adam Amara, Steve Driesen
La gita a Chiasso – a Bruxelles, in questo caso – fa sempre un gran bene. Apre a storie non di quartiere e a un modo di girare utile a raccontare una storia, trascurando i critici bisognosi di sfoggiare aggettivi. Alessandro Tonda, che ha scritto la sceneggiatura con Davide Orsini, all’’inizio sembra citare Gus Van Sant e i suoi edifici scolastici con lunghi corridoi. I ragazzi sono appena arrivati a scuola con l’autobus – il chiacchiericcio è abbastanza naturale per crederci. Primo passo per attirare lo spettatore dentro una storia di oggi (altro vantaggio di un giretto all’estero, e delle coproduzioni).
Due studenti sparano sulla folla, una bomba esplode. Nella confusione che segue, le ambulanze accorrono. Caricano un ragazzino ferito, poco dopo l’infermiera e l’autista scoprono che ha una cintura esplosiva attorno alla vita, e il detonatore ancora in mano. Guai a fermarsi, staccano anche il Gps. Intanto i poliziotti cercano l’attentatore scomparso, e si mettono in contatto con i genitori, nell’ormai noto quartiere di Molenbeck. Il padre, immigrato di prima generazione, dice “E’ colpa mia, non ho saputo ascoltarlo”. Qui la retorica è eccessiva, e le parole da assistenza sociale fuori registro: anche se è accertato che a radicalizzarsi sono le seconde generazioni, le prima sono ancora grate per una vita migliore di quella che avrebbero avuto in patria. Conferma l’autista, immigrato italiano: “Questo paese è accogliente, te lo dico per esperienza”. L’infermiera ha un marito tunisino e un figlio coetaneo. Avvertire le forze dell’ordine è rischioso, la centrale delle ambulanze vuole fare il cambio turno, la polizia cerca l’imam reclutatore. Abbastanza per tenere alta la tensione, e sensatamente chiudere il film dopo un’ora e venti minuti.
Politicamente corretto e panettone