Così Cinecittà può trasferire sull'audiovisivo il modello Draghi
Tecnologie e linguaggio. Rapporto tra stato e mercato e rivoluzione dei contenuti. Parla l’ad Nicola Maccanico
Il messaggio è forte e chiaro: Cinecittà è stata una bandiera della rinascita nel secondo dopoguerra; anzi, di più, è stata un pilastro economico e culturale, l’immagine stessa di un’Italia capace di risorgere dalle proprie ceneri; ebbene, oggi può diventare di nuovo un simbolo potente. Vasto programma, si dirà, un progetto ambizioso, complesso, ma realizzabile spiega al Foglio l’amministratore delegato Nicola Maccanico: “Cinecittà attrae per il suo passato e questa è la base sulla quale costruire, ma vogliamo che venga scelta sempre più anche per il suo presente e il suo futuro”. Sono state usate metafore e definizioni a bizzeffe, da Hollywood sul Tevere a hub europeo del cinema, della tv dell’intero universo audiovisivo. Non sarà facile, tuttavia esistono le condizioni affinché in cinque anni (questo il traguardo temporale) ciò avvenga. “Il mercato delle produzioni è esploso”, sottolinea Maccanico. “Grazie a internet e alle tecnologie digitali è possibile arrivare direttamente ai consumatori; il vecchio filtro della distribuzione è caduto, l’accesso non è più un problema, ma ci vogliono contenuti in grado di interessare gli spettatori. La competizione è fortissima, c’è una vera e propria moltiplicazione dei contenuti, proprio questa è la nostra occasione”. Gli studios di Hollywood, per esempio, sono sovraccarichi, è ormai difficile trovarne qualcuno disponibile. Ma non esiste più solo l’America.
Dal Pnrr le risorse per innovare
La Cinecittà di settant’anni fa si è sviluppata perché c’era il nuovo cinema italiano; tutto, dagli spaghetti western alla commedia, dai polpettoni storico-mitologici al neorealismo. C’erano i grandi registi e c’erano le mega produzioni hollywoodiane. Quel che nasceva in America veniva esportato in gran parte del mondo, quel che nasceva localmente restava in genere sul territorio d’origine, tranne poche eccezioni. “Oggi invece esiste una produzione circolare”, aggiunge Maccanico, “grazie alle piattaforme e alla serialità quel che nasce in un paese viaggia e si diffonde rapidamente. Hollywood resta la capitale del cinema, però non ha più il monopolio della creatività”. Questa trasformazione della domanda e dell’offerta offre a Cinecittà la condizione oggettiva per il suo rilancio, se sarà in grado di coglierla. Che cosa serve? Infrastrutture, tecnologia, capitale umano, capacità organizzativa innanzitutto.
E’ essenziale espandere gli studi, non c’è spazio e si è costretti a rinunciare a produzioni importanti. “Nel 2017-2018 – è scritto negli allegati al Pnrr – non è stato possibile accogliere il 70 per cento della domanda internazionale a causa della non disponibilità o inadeguatezza in termini di dimensioni e innovazione tecnologica: è stato calcolato che la perdita potenziale di ricavi per Cinecittà si aggira attorno ai 25 milioni di euro l’anno”. Il Piano di ripresa e resilienza destina a Cinecittà 300 milioni di euro che dovranno servire, come è scritto nel piano, “a potenziare la competitività del settore cinematografico e audiovisivo italiano”. Nel testo inviato a Bruxelles viene dettagliata la ripartizione delle risorse: 159,3 milioni andranno alla prima componente “Distretto Cinecittà”; 99,8 milioni serviranno invece per la nuova area di Cassa depositi e prestiti utilizzando i terreni adiacenti di proprietà della Cdp, 473 mila metri quadri, dove saranno costruiti 6 nuovi teatri hi-tech con servizi e sistemi annessi, 40 milioni circa andranno al Centro sperimentale di cinematografia, scommettendo sulla formazione dei giovani talenti.
Maccanico insiste sull’innovazione digitale e sull’importanza degli smart stage, in sostanza teatri attrezzati per la realtà virtuale. “Se Christopher Nolan, tanto per fare un esempio, ha bisogno di un sottomarino, oggi il produttore lo deve procurare; domani non ce ne sarà bisogno”. Sembra quasi un ritorno alle origini, quando le tempeste marine venivano ricreate in una bacinella con un ventilatore e le navi erano modellini di legno, solo che adesso non serve nemmeno la bacinella. L’utilizzo di più spazi e in particolare dei terreni posseduti dalla Cdp, può essere utile anche per girare all’aperto: una cosa è finire in mezzo alla marana (come avrebbe detto Alberto Sordi) tutt’altro è avere a disposizione ogni servizio necessario. “Il tempo è un fattore essenziale” dice Maccanico, “bisogna andare veloci, non solo perché lo richiede il Pnrr, ma perché lo pretende il mercato, l’innovazione tecnologica galoppa e la domanda stessa cresce con estrema rapidità”. In Europa non c’è nulla di paragonabile a Cinecittà, ecco perché il progetto di diventare hub per le produzioni del Vecchio Continente è fondato su solide basi. “In fondo, anche questo recupera parte del passato: pochi ricordano che il 30 per cento della occupazione nella vecchia Cinecittà era garantito da un accordo produttivo con la Francia”.
Una nuova creatività italiana
Infrastrutture, tecnologie e linguaggio. L’Italia negli anni 50 e 60 aveva introdotto un modo nuovo di fare cinema e non solo quello colto, lo si vede dal successo popolare di Fellini, Visconti, Monicelli, De Sica. Oggi c’è una leva di registi italiani in grado di accoppiare linguaggi al tempo stesso sofisticati e di massa, si pensi a Garrone, a Sorrentino, a una serie come Gomorra. L’Italia, dunque, è tornata a essere identificabile anche da questo punto di vista, spiega Maccanico, e dovrà essere sempre più attraente come sistema paese, non solo per le sue bellezze storiche e naturali, ma per la sua modernità ed efficienza. Nel mondo audiovisivo, insomma, esiste di nuovo un modello italiano, c’è una capacità creativa e una unicità percepite in modo più chiaro di un tempo. Si tratta di dare una prospettiva, un futuro, restando radicati nella storia, ma offrendo il massimo delle tecnologie e delle possibilità contemporanee. Uno dei punti di forza è sempre stato il capitale umano, le mitiche maestranze di Cinecittà: anche loro debbono compiere un salto tecnologico, entrando nel mondo digitale senza perdere le capacità professionali che le hanno rese famose, anzi potenziandole. “Dobbiamo essere laici e flessibili – dice Maccanico – e proprio la flessibilità oggi fa la differenza; non più la specializzazione come in passato, ma dalle grandi produzioni Usa alle più piccole serie televisive, tutto può essere girato nei nuovi studi”. Già avviene del resto per un programma come X Factor, nel mitico teatro 5.
Cinecittà è stata nazionalizzata nel 2017 proprio mentre la triade internet, cinema e tv stava provocando una nuova rivoluzione (Netflix era da poco entrata in Italia). Molti hanno storto il naso, conoscendo la scarsa efficienza della pubblica amministrazione e la storia dei salvataggi finiti in carrozzoni dispendiosi. Questa volta le cose possono prendere una strada diversa. Il ministro Dario Franceschini ha visto un mercato per rilanciare Cinecittà e ci ha creduto. Maccanico ritiene che possa diventare un esempio di quella nuova collaborazione tra stato e mercato della quale ha parlato anche Mario Draghi. “Io che ho sempre lavorato nel privato ho colto la possibilità che la mano pubblica diventi lo strumento per realizzare un progetto di mercato, con una strategia in grado di guardare al mondo contemporaneo. E’ una grande responsabilità, una sfida che ho accettato con entusiasmo, pur sapendo quanto sia difficile far nascere un player di sistema nell’audiovisivo, che sia italiano e internazionale allo stesso tempo”. Anche Draghi ci crede e la scelta di Cinecittà per ricevere il via libera europeo al Pnrr non è affatto estemporanea. Ci crede la stessa Ursula von der Leyen (a giudicare da quel che ha pubblicato su Instagram, altro esempio di convergenza dei media). Ci credono i soggetti sul mercato, a cominciare dalle televisioni? Se Mediaset sposta la sua sede legale ad Amsterdam non vuol dire che non possa utilizzare Cinecittà. Bando alle querule lamentele sovraniste, una internazionalizzazione sempre maggiore è essenziale per il successo di un progetto al quale s’addice più che mai il noto detto dello storico Carlo Maria Cipolla: la forza dell’Italia è “produrre all’ombra dei suoi campanili cose belle che piacciano al mondo”.